Descrizione
Una diatriba tra il Comune di Marone e i fratelli Cristini per il trasporto aereo della terra follonica.
Una diatriba tra il Comune di Marone e i fratelli Cristini per il trasporto aereo della terra follonica.
La terra di follo (argilla smettica) è un’argilla di un grigio verdastro, molto idratata, che contiene quasi sempre un poco di calce, di magnesio e di ossido di ferro; è saponificante, detergente e sgrassante, grassa al contatto e si può stemperare facilmente nell’acqua che rende insaponata.
Nel 1892 Francesco Salmoiraghi, in un ampio scritto sulla terra follonica di Marone, scriveva: «[…] L’argilla smettica [deriva del greco smêktikos, σµηκτικός, nel significato di idoneo a pulire, ndr] di Marone e Sale Marasino è di color giallastro, poco untuosa al tatto, non molto fina e non priva di qualche plasticità. […] Essa quindi non presenta che in modo imperfetto i caratteri della vera argilla smettica e perciò non ha che una mediocre attitudine digrassante, talché viene usata solo, per il purgo degli articoli grossolani di coperte di lana, mentre per gli articoli più fini gli industriali devono ripetere la follatura con altre materie digrassanti o supplirvi interamente con esse. […] Può ritenersi che per 100 chilogrammi di lana occorrono da 75 a 100 chilogrammi di argilla smettica, quale si estrae dalle cave attuali, liberata però di sterpi e ciottoli. […]
Una cava di terra di follo di proprietà del Comune di Marone, che i follatori esercitavano dietro pagamento di un canone annuo, si trovava a sinistra della Valle dell’Opol sotto la Punta dei Dossi e quasi di fronte al Santuario della Madonna della Rota, all’altezza di 590 m sul lago.
L’argilla era trasportata con una fune aerea, fino sulla falda destra (strada mulattiera, che da Marone conduce a Gasso, che fino ad un certo punto era carrettiera). La fune, secondo il progresso dello scavo, era di tanto in tanto opportunamente spostata.
La falda, su cui giace l’argilla, è boscosa e molto ripida; il manto argilloso di piccolo spessore, da 20 cm ad 1 metro. Un’altra cava in terreno privato, discontinuamente attiva, era molto più ad est della precedente, sulla stessa falda, sotto la vetta del Caprello e all’altezza di circa 852 m s. l. m., di fronte alla rupe dolomitica dell’Acquasanta. Depositi di argilla smettica erano anche a Ranco presso Pregasso all’altezza di 224 m s. l. m., nella regione soprastante ai Tufi di Sale Marasino a 290 m s. l. m.: di più antiche cave mancano e traccia e ricordo. Ma è naturale che i primi follatori cercassero l’argilla nelle località più vicine agli abitati, e quindi più basse; poscia, quelle esaurite od ivi l’estrazione resa meno proficua, si rivolsero a località più lontane e quindi più elevate».
Leggi il saggio di Francesco Salmoiraghi: archivio-fotografico-predali-saggio-salmoiraghi-sulla-terra-di-follo-di-Marone
Il Consiglio comunale di Marone (Brescia) nel 1871 deliberava alcune norme per lo scavo della terra follonica nei terreni del Comune. La Giunta municipale con delibera del 13 giugno 1873, sanciva alcune norme per tale scavo e fra queste nell'art. 1 era detto: «L'uso del filo di ferro per la traduzione di detta terra è vietato».
Giovanni Cristini, con il fratello Luigi, aveva contravvenuto a tale divieto e il Sindaco Giuseppe Fenaroli gli intimò, il 15 agosto 1873, «di staccare e trasportare al suo domicilio il ferro apposto sulle proprietà comunali entro il giorno 19 dello stesso mese, sotto comminatoria che in caso d'ineseguimento sarebbe stato il distacco e trasporto predetto operato d'ufficio a spese dell'intimato».
I fratelli Cristini si opposero all'ingiunzione – dicendo di non volerla eseguire – in quanto l'uso del filo di ferro non fu vietato dal Consiglio comunale, ma dalla Giunta senza alcuna facoltà, e perché, se la legge comunale concede ai Sindaci di prendere i provvedimenti d'urgenza che riguardino la pubblica sicurezza, nel caso il distacco del filo di ferro non era richiesto da alcuna urgenza, essendo tenuto in esercizio da tre anni senza ostacolo o danno di sorta.
Il Sindaco fece allora rimuovere il filo di ferro d'ufficio.
Di qui la querela dei Cristini, con la quale, lamentando quel fatto come prodotto dell'arbitrio del Fenaroli e dell'abuso della sua qualità di Sindaco, ne chiese la condanna al risarcimento dei danni.
La causa è stata trattata in numerosi testi di giurisprudenza amministrativa, poiché l'argomento dell'abuso, se vi era stato, era di competenza dei tribunali amministrativi e non dell'autorità giudiziaria.
Non sappiamo come sia stata risolta la questione, ma – se nel 1892, quasi 20 anni dopo, se il Salmoiraghi dice che «l'argilla era trasportata con una fune aerea» – è evidente che, in un modo o nell'altro, l'ebbero vinta i fratelli Cristini.