Ottavio Amigoni?, La Trinità in gloria

Ottavio Amigoni (Brescia, 16 ottobre 1606 – Brescia, 28 ottobre 1661).
L’Amigoni ha lasciato sue opere nella parrocchiale antica di Marone, nella chiesa dei Santi Pietro e Paolo di Pregasso (incerta attribuzione) e nella parrocchiale di Vello.

Descrizione

Ottavio Amigoni?, La Trinità in gloria

Fiorella Frisoni

Anonimo della prima metà XVII secolo (Ottavio Amigoni?)
Pala della navata della chiesa dei Santi Pietro e Paolo di Pregasso (parete sinistra)
olio su tela
200x150 cm

Entro un anello di nubi color fumo che si apre come una corolla sopra la base della croce, contro un letto di nimbi rossastri degradanti verso il fondo, si staglia Dio Padre. Di sembianze piuttosto giovanili e abbigliato in vesti di colori complementari, il verde marcio del manto e il rosso-rosato della veste, allarga le braccia a tenere la croce a cui è inchiodato il Figlio, disposta davanti a lui secondo l’iconografia del cosiddetto Trono di grazia, una particolare interpretazione della Trinità particolarmente diffusa nei paesi nordici, ma non di rado adottata anche in Italia, e non ne mancano esempi in dipinti murali e su tela anche a Brescia, in particolare nella testata della navata destra del Carmine.

Il nome deriva da un passo della Lettera agli ebrei (4, 16) di san Paolo, laddove il santo invita ad accostarsi “con piena fiducia al trono della grazia, per ricevere misericordia e trovare grazia ed essere aiutati al momento opportuno”. Paolo sostiene, infatti, che Gesù, figlio di Dio, per la sua natura anche umana, “essendo stato lui stesso provato in ogni cosa, come noi, escluso il peccato” (4, 14) può comprendere le debolezze dell’uomo e perdonarle. Fra il Padre e il Figlio, il cui capo, in ombra, è reclinato nell’abbandono della morte terrena, si accende il bianco della colomba dello Spirito Santo, le cui ali, rappresentate di taglio nella visione orizzontale, sono appuntite come le estremità dell’aureola divina, di inconsueta forma romboidale.

Nella zona sottostante il gruppo di figure il cielo si apre su un cielo di un grigio più chiaro e trasparente, striato di cirri e di nuvole leggere.
L’opera è riemersa in tempi relativamente recenti all’attenzione degli studi, quando, a seguito del restauro cui è stata sottoposta nel 1999 ad opera della Ditta Lino Scalvini di Brescia, è stato pubblicato un opuscolo, con scritti di Antonio Moretti, di Milena Zanotti e dello stesso restauratore. Da quest’ultimo contributo si evince come il dipinto avesse subito nel tempo molti danni che avevano provocato lacerazioni, rattoppi grossolani, smagrimento della pellicola pittorica e molte ridipinture, poi eliminate dal restauro. L’intervento, pur ben condotto, non ha potuto compensare del tutto le lacune e rimediare all’abrasione generale del tessuto pittorico, per cui resta non facile, anche per assenza di documenti, ricondurre il dipinto, certamente opera bresciana databile alla prima metà del Seicento, sotto una precisa paternità.
Nell’opuscolo sopra ricordato, Moretti parla di influssi di Jacopo Negretti, noto col soprannome di Palma il giovane, e la Zanotti, in un’ampia scheda, ribadendo i riferimenti palmeschi e veneti in genere, suggerisce con molta cautela che l’autore possa individuarsi nell’ambito di Francesco Giugno, pittore bresciano attivo nella propria città dopo una formazione avvenuta in Venezia nella bottega del Negretti.

Pur non negando che sui lineamenti drammaticamente segnati del Cristo abbia inciso la conoscenza dei modelli devozionali di Palma, devo dire di aver pensato, nel momento in cui Antonio Burlotti mi ha segnalato il dipinto, che esso andasse avvicinato piuttosto alla produzione di un altro bresciano, Ottavio Amigoni (1606-1661). È questi un singolare pittore, attivo anche nell’area sebina (a Siviano, a Zone, nella stessa Marone, dove sue opere si conservano nella chiesa di San Bernardo, nella canonica e in Sant’Eufemia di Vello) e oggetto in tempi recenti di una importante anche se sintetica monografia (G. Fusari, Ottavio Amigoni, un piccolo e ozioso ritardatario provinciale. Vita e opere di un pittore bresciano (1606-1661), Roccafranca, Bs, 2006), la cui formazione chiede ancora di essere rimeditata, diversa com’è la sua espressione di stile rispetto agli orientamenti veronesiani, palmeschi e in qualche caso barocceschi dei coevi artisti suoi conterranei. Si tratta, infatti, di uno stile le cui radici andrebbero, a mio giudizio, rintracciate in altre zone, da Mantova all’Emilia, e forse anche nella Lombardia occidentale. Mi inducevano a pensare ad Amigoni i lineamenti di Dio Padre, quella leggera untuosità dell’epidermide che traspare ancora malgrado le superfici siano smagrite, le nubi rotondeggianti e ferrigne e, soprattutto, l’accostamento cromatico di rosso e verde bosco presente in molte opere di Ottavio. Lo si individua, infatti, nella figura di un apostolo al centro de La tempesta sedata, conservato nella sacrestia della parrocchiale di Pontevico, nel Mosè a sinistra di Cristo nella Trasfigurazione nell’Oratorio già Schillini a Calvisano, nella veste della Vergine della Fuga in Egitto nel Santuario di Paitone, che si possono vedere riprodotti nella monografia sopra ricordata.

Devo dire, però, che non consuonano del tutto con i morbidi contorni di quel pittore la sdutta figura del Cristo e soprattutto i suoi lineamenti puntuti, mentre la fascia sui fianchi, che sembra quasi fissata con una spilla, non convince, per una certa fissità e pesantezza dello schiocco della stoffa per un vento ideale.

Conviene, quindi, in attesa di una più approfondita conoscenza di tutte le fasi produttive dell’artista, sospendere il giudizio e concentrarsi sull’interesse dell’iconografia e sulla qualità dell’invenzione, tradotta in pittura, per quanto consentono di giudicare le pregresse vicende conservative, con rara abilità. E vale la pena di riprendere la bellissima espressione di Milena Zanotti, quando, meditando sul ruolo devozionale e didattico del dipinto, osserva che: “l’assoluta drammaticità della Crocifissione ha il suo unico intenso rispecchiamento in quel cielo plumbeo, dove il tempo si è fermato per farci riflettere”.

BIBLIOGRAFIA
A. Moretti, M. Zanotti, La “Trinità” della Chiesa di S. Pietro in Pregasso di Marone, 1999.