Omodei Giuseppe Pinòto

Giuseppe Omodei Pinòto di Andrea del Giardì è boscaiolo e contadino.

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Descrizione

Omodei Giuseppe Pinòto

Giuseppe Omodei Pinòto di Andrea del Giardì è boscaiolo e contadino; è sposato con Cristini Caterina detta Catìna dei Gai, figlia di Giovanni Maria e Caterina Cristini degli Afre. La coppia ha avuto 10 figli: Andrea Basgi [1929], Attilia [1931], Francesca detta Lisa [1934], Giacomina detta Agnese [1936], Giacomo Manàsa [1938], Maria [1940], Rosa [1943], Teresa [1944], Giovanni [1947] e Basilio [1950].
Pinòto aveva come fratelli Bortolo Buciù, Angelo Fante, Lorenzo, Giacomo, Mario, Rosa e Giulia.
Catina dei Gai è sorella di Giovanni Giotino, Battista Tino Crocole, Maria, Maddalena Nene, Elisabetta Betta e Caterina Rina.
Il Libro per le Famiglie - pagina 194 - riporta che gli Omodei - abitano a Ponzano - sono originari di Bovegno e sono denominati Castégnabüsa. Il capostipite è Maffeo sposato con una certa Maria che nel 1773 ha un figlio, Paolo, che si sposa con Domenica Gatta.

La famiglia di Omodei Giuseppe Pinòto e Cristini Caterina detta Catìna dei Gai

Le avventure di Omodei Giacomo detto Manàsa 

Miracolo o fortuna. Un fatto realmente accaduto.

M° Giacomo Felappi

SOSPESO NEL VUOTO, ATTACCATO A UNA CORDA METALLICA, A 300 METRI D'ALTEZZA: MIRACOLO O FORTUNA?
Ci sono dei fatti, nella vita di un paese, che molti ignorano, anche se a dir poco hanno dell'incredibile.
Uno di questi ve lo sto raccontando io adesso.
È avvenuto anni fa, sulle montagne della nostra valle e precisamente in località Monte Caprello e Pergarone.
Siamo nell'immediato Dopoguerra e a quei tempi la gente era molto diversa da quella di oggi: il progresso in questo ultimo mezzo secolo è corso alla velocità della luce.
Chi andava in vacanza allora? Chi mai aveva la seconda casa?
Durante l'estate del 1947 su a Pergarone, un gruppo di cascine le une addossate alle altre, passavano le vacanze, si fa per dire, alcune famiglie di contadini: mamme, zie, figli, nipoti... e papà.
Si falciava l'erba, si accudiva il bestiame, si preparava la legna per l'inverno, se fao patös, se cagiàa, se sfurnàa strachì e formai...
Anche la famiglia di Omodei Giuseppe, classe 1901, detto Pinòto, e di Cristini Caterina, detta Catina, ancora vivente, stava lì nella cascina di Pergarone, di loro proprietà.
Dieci figli avevano: Andrea (Basgì), Attilia, Francesca, Agnese, Giacomo, Mario, Rosa, Teresa, Gianni e Basilio.
Giacomo, più conosciuto come Manàsa, classe 1938, a nove anni fu il protagonista del fatto: il nostro eroe insomma! Era il 9 luglio 1947!
Zanotti Giuseppe, Pì di Róss, el Técia, stava falciando l'erba dei sègaboi, su in monte Caprello, in località Órt.
Assieme a Pinòto, padre di Giacomo, li aveva appaltati dal Comune.
«Bèpe, el fiöl de Pì, e Giacom, el fiöl dè Pinòto, vers mesdé iera partìcc a portaga de disnà a Pì, sö a l'Órt: nela pignatina la minestra, du panadì, en bel tòch de polastrì a rost e pò en mès liter de i».
«Vè racomande... fì mia sö dele stupìdade oter du, stì a tenti ai béss...» le ghia racomandàt le so mame.
Appena arrivati lassù, aveva loro ordinato di portare al punto di partenza del Fil, en per de capöcc de fe, cioè a dire due grossi mucchi di fieno.
Infatti el capòt era la quantità di fieno, che, legato stretto stretto, veniva attaccato al filo mediante la canèta - un rampino speciale - che lo faceva scorrere da lassù a l'Órt fino alla cascina di Pergarone in pochi secondi: il dislivello era di trecento metri circa e la distanza da percorrere di seicento-settecento metri.
I due ragazzi cominciarono a giocherellare attaccandosi al filo con la canèta.
E una volta, e due e tre... A un certo punto Giacomo non riuscì a frenare in tempo e in men che non si dica si trovò attaccato con le mani alla canèta sospeso nel vuoto, sopra la valle dell'Opol e a una velocità da Formula 1.
Allora si rannicchiò, come el capòt e strinse forte le mani da fargli male.
«Tre pensieri mi frullarono subito per la testa, si ricorda bene Giacomo: Se burle do, i me ciapo piö; quand go ést chel mut de Ià el me gnìa visì, go dit: Forse mè se salve; apéna rie söl prat e toche do le gambe, go de córer, se no me se cope».
Il tutto successe in un minuto circa. Il miracolo avvenne: nemmeno un graffio!
A cento metri dall'atterraggio fu visto da Tóne, fiöl de Pì di Róss, che, dopo aver legato il mulo ala traés, pensate un po', salì di corsa al punto d'arrivo del filo, ma non riuscì a dire una sola parola.
Le donne, sentendo il tipico e noto stridìo dello scorrere della canèta sul filo, esclamarono: «Arda en pó! Chè fal sö stamatina chel Pì chel manda do i se prèst i capòcc?».
Quando s'accorsero che el capòt l'era Manàsa, tutte si misero a gridare, a mettersi le mani nei capelli, a gridare invocazioni...
Corsero dal ragazzo, gli chiesero se si era fatto male, se stava bene, non credendo ai propri occhi che fosse lì sano e salvo, come se niente fosse accaduto.
Maria, la moglie di Pì, si mise a gridare contro suo marito, che su a l'Órt continuava intanto a falciare l'erba ignaro dell'accaduto: «Ghét fat sö chi, Pì, set dientàt mat! Madona me! Signùr, Signùr...».
Bèpe aveva assistito esterrefatto al viaggio del suo amico Giacomo attraverso il filo l'aveva visto volare sulla valle rimpicciolire sempre di più; solo quando lo vide arrivare di là e darsela a gambe levate, corse da suo padre a raccontargli l’accaduto, premurandosi anche di dirgli che non si era fatto niente di niente.
Ma el poer Pì non volle sentir né santi né madonne e corse giù a capo fitto per i sentieri scoscesi del bosco, rischiando lui di farsi veramente male.
Pianse vedendo Giacomo sano e salvo e per un po' continuò a gridare: «El vera che tè ga sét amò, Giacumì; el vera che tè ga sét amò, Giacumì...» fino a quando cadde a terra svenuto.
Intanto tutta la gente, che era nelle cascine dei dintorni, corse in Pergarone.
Uno dei tanti, Tóne de Taì, piangendo s'avvicinò a Giacumì e si sentì autorizzato a dargli una tiratina d'orecchi, come d'uso, dicendo: «Et fat sö chè!».
Giacomo intanto, che non aveva ancora pranzato, stufo dell'attenzione, cui era costretto suo malgrado, corse in casa, «el ga brancàt l'öltema fèta de polenta che ghera amò söla taéra e, con en toch de formai en ma, l’è filàt a fa pasculà le se ache nele Fópe».
Il padre Pinòto, rimasto in quel di Marone, stava falciando l'erba nele Cole sopra Ariolo.
Al tramonto passo di là Elia Zanotti - Lio Petét - che scendeva da Pergarone col mulo e il carretto; quando vide Pinòto, disse: «Bel fa te a fa sö i solc’, che ta ghé i scècc che cónsoma mia le scarpe e i traèrsa la al col fil!».
«Desmèt de cüntà sö stupidade, Lio» fu la risposta del padre, ancora ignaro dell'accaduto.

Le avventure di Omodei Giacomo detto Manàsa

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