Descrizione
Il mulino dei f.lli Panigada Mulinerù in via Piazze a Marone nel racconto di Giacomo Felappi
Dei tanti mulini, che attinsero l’energia per la loro attività dal Canale della Sèstola lungo via dei Mulini e dal Canale di Ariolo e del Bagnadore Basso, quello che ancora oggi potrebbe funzionare, salvo alcuni accorgimenti, è quello dei f.lli Panigada di via Piazze.
E di fatto ha, saltuariamente, funzionato fino a quando - per i lavori della superstrada da Collepiano a Sale Marasino - non si è approntata una strada provvisoria per il riporto rapido dei materiali di scarto lungo l’alveo del torrente Ópol, distruggendo l’imbocco del canale che portava l’acqua fino alla ruota del mulino Panigada.
A tutt’oggi nulla è stato risistemato come prima.
In casa Panigada si entra da via Piazze attraverso un portone di legno, che immette in un cortile interno, un tempo selciato a resöl e ora piastrellato e rimesso a nuovo, circoscritto completamente dai muri delle pareti che lasciano entrare la luce del sole dall’alto dei tetti.
Sembra di essere in un salotto dalle pareti bianche di calcina.
Appena a destra un’apertura che dà su una stanza, una volta portico aperto sulla ferrovia e che faceva angolo sulla strada.
A sinistra la cucina e il soggiorno.
Un po’ più su una sala indipendente con porta e finestra rivolte al cortile: era la vecchia stalla con porcilaia e alloggio dell’asino, animale tanto utile e che aveva il privilegio di poter volgere il muso e lo sguardo attraverso la finestra. Lui, l’asino, sapeva tutto di tutto e di tutti!
Di fronte, ma un poco a destra, una grande porta, varcata la quale ci si trova in una stanza, dove un tempo mettevano i carretti e c’erano alcune attrezzature di lavoro, quale ad esempio una mola azionata dagli ingranaggi del mulino, con un alberello di trasmissione, che fuoriusciva da un buco praticato nel muro divisorio.
A fianco di questo stanzone stava il forno a legna per cuocere il pane, ora servizi igienici.
Appena sulla sinistra si apriva e si apre tuttora un corridoio alto, stretto e corto, oltre il quale si intravvedono i macchinari del vecchio mulino.
Appena lo varco assieme all’amico Paolo, che mi fa da guida esperta, mi assale un senso di stupore e di meraviglia: quel mulino mi appariva tale e quale come l’avevo visto durante la Guerra del 1940-45, quando vi entravo con mia mamma, che era parente del papà Francesco.
Per la verità l’avevo visitato una volta coi miei alunni a fini didattici, ma non mi era parso così affascinante, forse perché in questo momento ero solo e quieto.
Merita certo di essere visitato da tutti i maronesi e dagli alunni di tutte le scuole in particolare, sperando che venga conservato per il futuro, magari con l’interessamento degli Enti pubblici preposti.
La grande stanza è praticamente suddivisa in due parti più o meno della stessa grandezza: quella a destra collocata di un metro più alta, a cui si accede salendo alcuni gradini: in pratica il mulino vero e proprio.
Vi stanno sopra due gruppi macinatori a forma circolare, ognuno dei quali formato da due molasse - quella inferiore fissa, quella superiore mobile.
Vi veniva buttato un quintale di grano per volta attraverso la tramoggia (una specie di imbuto a tronco di piramide capovolta, con un aggeggio all’uscita, detto sbattitore, che aveva il compito di sparpagliare il grano stesso).
Il grano si intrufolava tra le due molasse e quella girevole lo stritolava, facendo poi cadere il macinato in un tubo raccoglitore quadrato posto sotto, che lo faceva scivolare in una casseruola al cui interno girava con moto dal basso verso l’alto un nastro dotato di cassettine.
Queste cassettine, man mano si riempivano, salivano a versarlo all’interno di un lungo crivello (el bogàt) a forma di prisma esagonale, il quale - girando in leggera pendenza - selezionava prima la farina, la più fine ovviamente, poi il farinaccio e infine la crusca.
La farina cadeva nel casù direttamente, il farinaccio e la crusca in sacchi, legati all’ uscita di appositi raccoglitori.
Questo per la farina bianca.
Per il granoturco invece operava il secondo mulino, che ripeteva le stesse identiche operazioni.
I due molini potevano lavorare contemporaneamente.
A furia di sfregarsi, la superficie orizzontale delle due molasse diventava liscia e non macinava più.
Un argano - posto tra i due mulini - poteva sollevare ad una ad una le molasse, che venivano sottoposte alla battitura a mano della facciata interessata, con dei martelli appuntiti, a scalpello o con superficie a sporgenze quadrate.
La ruota del mulino, fatta a cassette, fu ricostruita qualche anno fa e si muoveva su caduta dell’acqua del canale Ariolo, che nel suo percorso alimentava prima il mulino Bettoni, poi entrava nello stabilimento dei Guerì (fabbrica Guerrini e poi ITB), e proseguiva fin qui al molino Panigada per gettarsi poi nella vasca-lavatoio di Piazze, punto di incontro dei tre canali della Sèstola, del Bagnadore basso e dell’Ariolo.
Da qui, attraverso un sifone che passava sotto le rotaie della Ferrovia, l’acqua dei tre canali passava nello stabilimento dei Cristì de Sura, azionava una turbina elettrica e serviva a tutti gli usi per la lavorazione delle coperte.
La ruota centrale era, ed è tuttora, collegata - attraverso un perno - a un’altra più all’interno, di ferro, dentata, alla quale stanno agganciati gli ingranaggi di altre due ruote, che a loro volta e attraverso sempre dei perni, stavolta lunghi quanto il molino, azionano tutti i macchinari con il sistema di trasmissione a cinghia.
Nella sua lunga attività più che cinquantennale, a cavallo delle due più grandi guerre del secolo, ne è passata di acqua su quella ruota! Quanti quintali di granoturco e di frumento macinati, quanti sacchi di farina!
Il grano era portato direttamente dai clienti in minime quantità, legate alle immediate necessità; contadini di Marone, di Montisola, di Sale Marasino.
A volte, specie di venerdì, il mugnaio Francesco andava col mulo o con l’asino a Iseo, al Consorzio, e acquistava grano.
Macinavano molto per l’Istituto Girelli.
La macinatura veniva qui pagata in lire, mai col baratto di un tanto di farina.
Il mulino cessò di funzionare definitivamente negli anni successivi alla guerra 40/45, anche se il figlio Paolo macinò qualche sacco di grano ancora in questi ultimi anni, specie per chi voleva cibarsi di farina integrale.
Con atto notarile n.° 879 di repertorio, nel 1905, fu stipulato l’atto di compravendita del mulino.
«Compra-vendita immobili
Regnando S.M. Vittorio Emanuele III per Grazia di Dio e Volontà della Nazione Re d’Italia.
L’anno 1905 - millenovecentocinque, questo giorno di Domenica 19 - diciannove - di Febbraio - essendo in Salemarasino, e precisamente nella Casa in Via Balzarini segnata al Comunale n.° uno.
Innanzi a me Dottor Serafino Chiappa fu Pietro Notaio alla residenza di Concesio [...] Negrini Bortolo fu Giacomo, nato e domiciliato in Pisogne, frazione Fraine possidente e signor Panigada Francesco di Paolo, nato a Pisogne e domiciliato a Marone, possidente [...] convengono quanto segue.
Il prelodato Signore Negrini Bortolo fu Giacomo, di propria Volontà dichiara di vendere, siccome cede e vende al signor Panigada Francesco di Paolo, che accetta ed acquista per sé, l’immobile in seguito descritto in Marone e cioè:
un mulino ad acqua animato dalla roggia Ariolo con casa, orto e cortile in mappa coi numeri […].
Il tutto nei confini: a sera Vismara mediante canale, parte per salto Pennacchio a muri divisori e per salto - strada comunale denominata Piazze - a monte della strada e parte strada per Molini Basgià. [...] pel prezzo di Italiane lire duemilacinquecento [...] con tutti i diritti d’acqua inerenti al mulino».
Il signor Panigada Francesco ottiene in prestito le 2.500 lire dal Signor Giugni Felice fu Geremia e si impegna a restituirle in «anni 6 -Sei – continuativi [...] con interessi del 5%», stipulando lo stesso giorno un duplice atto per il mutuo e l’ipoteca sul mulino a favore del Giugni.
Panigada Francesco [1878/1953] sposò Venturi Santina di Flero, a Marone come cameriera in casa dei Guerì (Popi) ed ebbero tredici figli, di cui 4 morti infanti.
Era figlio di Panigada Paolo di Fraine di Pisogne, che aveva sposato una certa Negrini Maria, sorella di Attilia, madre di Bortolo Omodei Buciù.
Venuto a Marone intorno all’ anno 1895 aveva lavorato come mugnaio nel mulino di «quelli di Zone» nell’immobile di casa Bertelli, attività che continuò in pratica per tutta la vita a Piazze, salvo la parentesi degli anni della prima Guerra mondiale come carabiniere.
Francesco venne a Marone con due fratelli e un terzo nacque a Piazze, Luigi, che era alquanto infermo.
Placido morì di spagnola all’età di ventott’ anni, Lorenzo, sposato con la signora Lisa Guerini, manovratore nella SNFT fu schiacciato tra due vagoni del treno nel 1930 e Luigi morì insieme a Francesco nello stesso mese di marzo del 1953.
[Giacomo Felappi]
La storia del fabbricato
Nell’Estimo del 1641 sono riportate 17 ruote di mulino in 10 edifici e 4 folli di panno. Cinque mulini appartengono ai Guerini, tre agli Zeni, nove ai Ghitti; tre folli erano di proprietà Novali, uno dei Benedetti, uno dei Ghitti. Continua l’attività della calcara (di proprietà di Francesco Cristini) e, probabilmente, quella della fucina; il carbonile, ora proprietà del Comune, è quanto rimane della cessata l’attività del forno fusorio.
I mercanti, nel 1641, sono 8 (tutti contadini) e possiedono 6050 lire di beni commerciali (di cui 2050 sicuramente di prodotti lanieri, detenuti da Salvatore Ghitti e Geronimo Zeni).
Nel 1750 Gottardo Ghitti è «molinaro in proprio molino di una ruota» in contrada di Piazze.
Nel 1785 Giovanni Ghitti q. Giovanni detto Cocone, parente di Ignazio Ghitti, possiede 2/3 di due ruote di molino (1/3 è del fratello Giuseppe) in contrada di Piazze.
«Dal Certificato Censuario Storico dell’Ufficio Distrettuale delle Imposte Dirette e del Catasto di Iseo, datato 5 agosto 1935 - Anno XIII.
Il sottoscritto primo procuratore delle Imposte Dirette e del Catasto di Iseo attesta e certifica che a pag. 54 del Catasto dei Fabbricati del Comune di Marone trovasi intestata la ditta Panigada Francesco di Paolo al la quale sono allibrati i seguenti immobili [in Via Piazze n° 56]:
1) mappale 163/1 - molino ad acqua - piani 1 - vani 2 - via piazze, n°56.
2) mappale 163/2 - porzione di casa annessa - Piani 1 - Vani 2 - col reddito imponibile di £ 96 (novantasei)».
Nel 1850 il mappale 163 (attuale mulino Panigada) era intestato al sacerdote Domenico Ghitti e al fratello Francesco fu Giovanni Battista e ad Antonio, Maddalena e Girolamo Ghitti fu Ignazio ed era descritto: macina da olio ad acqua - di pertiche censuarie 0,09 - Rendita Censuarla di austriache lire 17,60. [I Ghitti di Ignazio e del Cocone o Cucù sono parenti e convivono tutti in una stessa casa in contrada di Piazze, ndr].
- L’11 Agosto 1861 passò a Giuseppe Signoroni fu Cassandro.
- Sempre nel 1861, il 24 Settembre, passò a Vittore Fontana fu Mattia.
- Il 18 Dicembre 1868 fu acquistato da Maria Ghitti fu Giovanni Battista.
- Il 5 Settembre 1876 passò a Bartolo, Luciano, Giovanni Battista e Giacomo Guerini di Gioacchino proprietari e a Guerini Gioachino fu Giacomo usufruttuario in parte.
- Il 25 Febbraio 1890 per cessione di quota passò passò a Luciano e Giovanni Battista Guerini di Gioacchino proprietari e Guerini Gioacchino fu Giacomo usufruttuario in parte.
- Il 29 Marzo 1893, per sentenza del Tribunale di Brescia, passò alla Banca Popolare di Iseo (succursale di quella di Brescia).
- Nel Febbraio 1895 da fu acquistato da Negrini Bortolo fu Giacomo.
- Nel 1905 il mulino fu acquistato da Panigada Francesco di Paolo.
- Infine, nel 1935, alla ditta Panigada Francesco di Paolo erano allibrati i seguenti immobili: «molino ad acqua in via Piazze al civico n° 56 di piani 1 e vani 2 in mappa al n° 163 sub 1, porzione di casa annessa di piani 1 vani 2 in mappa al n° 163 sub 2».