Note sulla trascrizione fonetica e sulla pronuncia del dialetto bresciano
Andrea Salghetti
Il sistema di trascrizione del dialetto usato nel testo è quello semplificato adottato dal Servizio per la Cultura del Mondo Popolare dell’Assessorato alla Cultura della Regione Lombardia, molto simile al sistema semplificato RID, dettagliatamente illustrato nella Rivista Italiana di Dialettologia (n. 4, 1980; pp. 225-235), con la variante della scrittura della s aspirata con s e non con h.
Per quanto riguarda l’accento fonetico (cioè l’accento che serve a indicare la pronuncia chiusa o aperta delle vocali e - o), si pone un problema che non è stato ancora risolto, perché esso presenta delle difficoltà di ordine soprattutto tipografico. Si tratta, infatti, di porre su molte parole due o più accenti: uno, fonetico, su tutte le vocali e - o presenti nelle parole stesse e uno, tonico, che serve per indicare dove cade l’accento sulla parola, segnalando così che essa è tronca, piana o sdrucciola.
Se prendiamo, per esempio, le parole penser e respol (pensiero e racemo d’uva), vediamo che, per la loro corretta e completa lettura, si dovrebbero mettere due accenti: quello tonico e quello fonetico.
Pertanto le due parole andrebbero così trascritte: pènsér e rèspól. Questa trascrizione però provocherebbe una confusione per quanto riguarda la pronuncia tonica: le due parole sono tronche o piane? Chi non conosce bene il dialetto correrebbe il rischio di pronunciarle in modo errato: pènser e respól, il che impedirebbe la comprensione delle parole stesse.
In conclusione, di fronte a queste situazioni, si è preferito indicare sempre e solamente l’accento tonico che, spesso, coincide con l’accento fonetico, risolvendo in tal caso il problema delle due pronunce. Pertanto le due parole saranno scritte: pensér e rèspol.
Per quanto riguarda gli articoli e le preposizioni semplici e articolate si segnala che i clitici - monosillabi o bisillabi - sono scritti senza accento [Salghetti, 1997]:
a) l’articolo maschile singolare ha la è aperta (si pronuncia èl = il);
b) l’articolo femminile plurale ha la é chiusa (lé = le);
c) la preposizione semplice (dè = di) e le relative preposizioni articolate (dèl = del; dèla = della; dèi = dei; dèle = delle) hanno la è sempre aperta;
d) la preposizione semplice (con = con) e le relative preposizioni articolate (cól = col, con il; cóla = colla, con la; cói = coi, con i, con gli; cóle = colle, con le) hanno la ó sempre chiusa.
Nelle parole monosillabe contenenti le vocali e - o non si pongono problemi di accento tonico; si è ritenuto opportuno, però, mettere un accento esclusivamente per indicare l’apertura o la chiusura delle due vocali, naturalmente nei monosillabi che hanno un accento proprio.
Sòch = ceppo
Bósch = bosco
S-cèc’ = ragazzi
Réc’ = reti.
Si è preferito invece, per semplicità di scrittura, non mettere l’accento fonetico nelle parole polisillabe anche quando non ci sarebbe stata ambiguità di pronuncia tonica (per esempio, sbesarì avrebbe potuto essere trascritto sbesarì; in tal caso, sempre rimanendo chiara la pronuncia tronca, si sarebbe evidenziata anche l’apertura della è).
Nelle parole bisillabe piane si è sempre indicato l’accento tonico per comodità di lettura, anche se non era indispensabile, nei casi in cui la sillaba ha come vocale a - i - u (per esempio, sàpa, lìma, spùma). Quando la vocale è una o oppure una e, l’accento è contemporaneamente tonico e fonetico.
Per esempio,
pòsta (ò aperta)
pólech (ó chiusa)
rèspol (è aperta)
véna (é chiusa)
Ciò avviene regolarmente anche quando la parola è tronca o polisillaba.
Per esempio, caròta, talamóra; pansèta, polédes; tablòt, cióc’; restèl, resér.
Nelle parole che contengono una ö oppure una ü (i cosiddetti suoni francesi), se l’accento tonico cade su queste vocali non si indica alcun accento.
A proposito del suono a è da tenere presente che la a finale si pronuncia come una o che corrisponde alla å della grafia fonetica.
Per esempio, cùa (coda) si legge cùå e càsa (caccia) si legge càså.
La a finale accentata non subisce variazioni.
Per esempio, cuà (covare) si legge cuà e casà (cacciare) si legge casà.
La a nei monosillabi non subisce modificazioni e non viene accentata, così come per tutti i monosillabi con i, u, ö, ü.
Per una corretta comprensione e pronuncia dei termini dialettali è opportuno perciò fare particolare attenzione al tipo di accento e a dove cade.
à tiràca bretella
ò òio olio, suono aperto
ó córen corno, suono chiuso
ö nesöla nocciola, come la eu francese
ì sbesarì pettirosso
è pès pesce, suono aperto
é pés pizzo, suono chiuso
ù formentù granoturco
ü scanadüra gola, come la u francese
Trascrizione fonetica delle consonanti
In fine di parola la -ch rappresenta il suono velare della c, come in italiano, davanti alle vocali o - a - u.
Per esempio, fich = fico; bèch = becco; bósch = bosco; tòsech = veleno.
Nel medesimo contesto la c’ equivale invece alla c con suono palatale, come in cena e cibo.
Per esempio, dic’ = dita; déc’ = denti; cióc’ = chiodi; möc’ = mucchio.
La s aspirata del dialetto - propriamente una spirante glottidale - è scritta con la s (e non con la h), per facilitare la lettura.
Alla s e alla z sonore, come pure alla g palatale dell’italiano, corrisponde una d sonora.
Per esempio, spùda = sposa; àden = asino; dìo = zio; derlèt = gerla; duf = giogo.
Alla z sorda italiana, corrisponde in dialetto una s (sorda).
Per esempio, distrazione = distrasiù; negoziante = negosiant.
Infine, è da tenere presente che le doppie consonanti dell’italiano diventano semplici nel dialetto.
Per esempio, màchina = macchina; còla = colla.