La toponomastica maronese – lettera M
Roberto Predali
Il toponimo si trova solo nel 1573: «Una pezza di terra arativa, vidata, olivata cont:a del Madetla […] tavole quaranta duoi». In altra parte del documento è detta contrada di Manecali.
§~ Etimo oscuro.
Madonna della Rota, chiesa della
Il santuario mariano sorge in località Rota, nella valle dell’Òpol, a circa 600 metri d’altezza.
La località era luogo di passaggio per i viandanti che percorrevano l’antica strada che collegava la costa del Sebino con la Val Trompia, passando per Croce di Marone. La chiesa era dunque una tappa provvidenziale di ristoro, sia fisico che interiore, per coloro che vi giungevano dopo essere saliti da un’impervia mulattiera e che dovevano proseguire verso la montagna. Nella Val d’Òpol, inoltre, si trovavano giacimenti di terra da gualchiera o argilla follonica: «questo materiale fece da catalizzatore sulla risorsa sottesa e più genericamente diffusa, quella delle greggi di pecore, allevate dalle popolazioni di montagna e collina e, insieme ad un altro fattore determinante quale la presenza dei torrenti, permise lo sviluppo della lavorazione e del commercio della lana» [Morandini].
Non è, allora, un caso il fatto che il santuario sia stato costruito in questo sito, un luogo allora frequentato e di passaggio, appena sopra la frazione di Collepiano che è uno dei più antichi insediamenti di Marone.
La tradizione popolare vuole che la prima cappella sia stata voluta dalla Beata Vergine stessa, apparsa a un legnaiolo in località Punta dei Dossi, sul lato opposto della rupe della Rota. È più probabile, tuttavia, che l’idea della costruzione di una piccola chiesa dedicata a Maria, dove si celebravano i misteri dell’Annunciazione e della Natività, a ridosso dell’antica strada, sia nata grazie alla predicazione dei frati itineranti che alimentarono la pietà e la fede delle comunità cristiane del luogo.
Non è possibile risalire con certezza alla data di costruzione dell’oratorio primitivo, ma si può ipotizzare che ciò accadde intorno al XIV secolo, tenendo conto degli elementi costruttivi e delle pitture murali.
Sul finire del XVI secolo, alla cappella d’origine, diventata presumibilmente troppo piccola rispetto al numero dei fedeli, fu affiancata una nuova chiesa.
Il vecchio edificio fu incorporato sul lato destro della nuova chiesa.
L’attuale santuario si presenta esternamente con una facciata a capanna, entro la quale appare subito evidente l’impianto dell’antica cappella. L’ingresso della chiesa più recente è sormontato da una lunetta a tutto sesto; più in alto, quasi sotto le falde del tetto, sono presenti un oculo e, a destra del portale, una semplice finestra rettangolare.
All’interno, sia la chiesa cinquecentesca, sia la cappella più antica, si presentano con una struttura ad aula unica, assai diffusa in molti edifici religiosi della zona costruiti dall’ultimo quarto del XV secolo. Oltre all’elemento architettonico, il santuario della Madonna della Rota ha come denominatore comune con questi edifici anche i materiali usati per la costruzione, ovvero la morena, pietra locale che veniva poi intonacata, e la pietra di Sarnico, più preziosa, che serviva per rifinire le strutture.
Nel 1782 il campanile fu rialzato. Una mappa censuaria del comune di Marone, in cui compare il santuario, mostra come nel 1808 fossero già stati costruiti i locali destinati all’eremita nello spazio retrostante l’edificio religioso.
I dipinti murali esterni
La facciata dell’antica cappella quattrocentesca della Madonna della Rota è interamente decorata con dipinti murali databili alla seconda metà del XV secolo e attribuiti a Giovanni da Marone. La composizione risulta suddivisa in diversi riquadri ricavati sia interagendo con gli elementi strutturali della facciata sia grazie a decorazioni geometriche e architetture rese con effetto di trompe d’oeil. Le parti non figurate sono riempite con motivi decorativi geometrici: l’alto zoccolo vuole imitare una decorazione a finto marmo; è suddiviso in otto parti quadrate, le quattro a destra del portone sono attraversate da numerose linee diagonali di colore verde e rosso mentre quelle a sinistra da linee rosse e gialle. La porta è contornata da una fascia dello spessore di circa venti centimetri composta di finti conci alternati in bianco, rosso scuro e giallo. Sull’architrave del portale pare poggiare una cornice dipinta caratterizzata da motivi all’antica su cui stanno in piedi le figure dell’angelo e della Madonna Annunciata che affiancano la lunetta profilata da una treccia dorata; gli spioventi del tetto dell’originario edificio risultano invece profilati da motivi geometrici e vegetali molto stilizzati.
Nella lunetta sovrastante la porta d’ingresso si trova raffigurata ad affresco la Natività: la Vergine è posta di tre quarti e occupa il centro della scena; ha le mani giunte in segno di preghiera e volge lo sguardo verso il Bambino adagiato ai suoi piedi, mentre attorno a loro una schiera di angeli musicanti partecipa all’evento. In questa scena i particolari sono resi con gusto e precisione, ma si deve considerare che la nitidezza e la brillantezza dei colori sono dovute alle successive ridipinture. La Vergine, graziosa e dolce, presenta il capo coperto da un velo trasparente e indossa un abito blu in cui si può riconoscere ogni singola piega. Lo scollo è decorato da una preziosa bordatura. Il Bambino Gesù si trova in primo piano, raffigurato in una rigida posizione semidistesa, e rivolge lo sguardo verso l’esterno della composizione. Ognuno degli otto angeli, dai ricci capelli biondi e dal viso paffuto, è raffigurato in un atteggiamento diverso e con tuniche dai colori più vari: chi suona il liuto, chi il tamburo, chi il flauto, chi canta. Anche le ali degli angeli sono rese nel dettaglio e vanno dai toni del rosso a quelli dell’arancione. All’apice della lunetta e ai fianchi di questa, su fondo rosa, è rappresentata l’Annunciazione: in alto, in un cerchio luminoso, sta il busto dell’Eterno Padre che sovrasta l’arcangelo Gabriele sulla sinistra e la Vergine Maria sulla destra. In prossimità del cerchio, sulla destra, si trova raffigurata la colomba dello Spirito Santo con le ali spiegate in direzione dell’Annunciata. L’arcangelo Gabriele porta un abito giallo con un colletto rosso e ha le ali variopinte di rosso, verde e giallo, mentre la Vergine, posta dietro un leggio sostenuto da una colonna tortile, indossa un abito rosso dalle fitte pieghe e rivolge lo sguardo verso il basso. Le figure della Vergine e dell’Angelo sono rappresentate molto allungate e con scarna semplicità. Questa caratteristica era considerata fondamentale al tempo, poiché le rappresentazioni dovevano innanzitutto avere carattere didascalico, cioè fornire ai fedeli una precisa e corretta lettura dei misteri cristiani.
Ai lati del portale, in posizione rialzata, si trovano le rappresentazioni di due grandi figure: a sinistra san Pietro e, a destra, san Paolo. Entrambe le figure sono poste di tre quarti e rivolte verso destra. San Pietro è raffigurato con capelli e barba canuti, indossa una tunica bianca, che s’infittisce di pieghe nella parte più bassa, e un mantello giallo del quale s’intravede la parte di tessuto interna di color rosso scuro. Il santo regge, appoggiato alla spalla destra, un lungo bastone all’estremità del quale sono appese le chiavi, suo principale attributo. Tra le mani tiene aperto un libro che pare osservare con attenzione. Altro elemento della raffigurazione, visibile solamente a una lettura più attenta, che spinge a identificare il santo con Pietro, è il copricapo purpureo che ha l’aspetto di una tiara papale. San Paolo porta capelli e barba lunghi e scuri, una veste gialla ed è avvolto in un mantello rosso scuro che tiene stretto sul petto con la mano sinistra. È riconoscibile anche grazie al particolare, oggi completamente scomparso, della spada, che doveva tenere nella mano destra stretta a pugno. I due santi sono spesso raffigurati insieme, accomunati nella venerazione, poiché sono considerati i veri capostipiti della chiesa cristiana. Pietro, riconosciuto da Gesù stesso come suo rappresentante in terra dopo la sua ascesa in cielo, e Paolo, apostolo delle genti, primo artefice della diffusione del Vangelo nel mondo. Ai lati del portale d’ingresso, sotto al finto fregio dorato, si notano due piccoli riquadri che, raffiguranti il Cristo crocefisso e il beato Simonino, completano il serrato piano decorativo della facciata. Il Cristo crocefisso, sulla sinistra, è raffigurato su di uno sfondo arancione attraversato da linee oblique con funzione decorativa. Il corpo è reso in modo abbastanza plastico e i muscoli del torace e delle gambe sono evidenziati grazie all’uso delle ombreggiature. Il riquadro di destra è molto rovinato e non permette una lettura precisa dei particolari, ma si riesce ancora a vedere chiaramente la figura del beato Simonino che è associata in modo significativo a quella del Cristo risorto. Tale parallelismo simbolico è sottolineato dall’accostamento del piccolo martire con il Cristo in croce. Si tratta di una raffigurazione isolata in cui Simonino è presentato in piedi, nudo e con le ferite ben visibili, quale vittima sacrificale posta su di un basamento e contornata, in alto, da una candida tovaglia bianca. Questa rappresenta il telo con cui fu trattenuto o soffocato durante la tortura oppure evoca il sudario del suo sepolcro. Lo sfondo è privo di indicazioni ambientali e ciò serve a decontestualizzare l’immagine dai fatti di Trento. Anche la mancanza dei carnefici ne attenua la funzione antiebraica e sottolinea, invece, il ruolo di Simonino come piccolo martire.
Dipinti murali interni
La Natività, collocata sulla parete di fondo dell’abside e datata alla seconda metà del XV secolo, si trova, come si è già detto, su un supporto rigido mobile in seguito all’operazione di trasporto dell’opera. È molto simile alla Natività presente in facciata, se si considera la posizione in cui sono raffigurati i due personaggi sacri, ma se ne discosta per la presenza di un interessante paesaggio cittadino caratterizzato da numerose torri. La città, in secondo piano, è racchiusa da un’alta cinta decorata da un fregio nella parte più alta. Sulla destra si trova un edificio più grande, forse una porta che permette l’ingresso alla città, con alla sommità una tettoia costruita prospetticamente. L’architettura si presenta, inoltre, come se fosse sul punto di crollare. Questa caratteristica è significativa in quanto rimanda a molte raffigurazioni dell’Adorazione dei Magi, come ad esempio, quella assai famosa di Leonardo da Vinci, databile tra il 1481 e il 1482, in cui compaiono sullo sfondo le rovine del palazzo del re Davide, considerato precursore di Cristo nell’Antico Testamento. La Madonna indossa una veste viola, colore spesso utilizzato da Giovanni da Marone che prediligeva una gamma che va dal violaceo al rosso. Le braccia fuoriescono dall’abito e sono coperte da un leggero tessuto riccamente decorato da motivi ornamentali in rosso. La Vergine tiene le mani accostate in segno di preghiera e dirige lo sguardo in basso dove si trova il Bambino Gesù che ricambia le attenzioni della madre, semi-disteso su di un telo dallo stesso colore della veste della Vergine e poggiato con la schiena a un masso. L’intera composizione è racchiusa da una finta cornice che incorpora più fasce verdi e viola e un motivo a treccia giallo. L’unità dell’intero dipinto è rafforzata dal continuo rimando tra i colori dei vari elementi.
Dietro al dipinto staccato sono presenti dei lacerti pittorici nella loro collocazione originaria, posti ai margini della parete. In quello in alto, alla destra dell’altare, si può scorgere un angelo musicante dalle grandi ali variopinte che si staglia su uno sfondo blu. E vestito di giallo e, rivolto verso il centro della parete, suona una tromba. Sopra di lui si leggono brani di una larga fascia decorativa, di colore ocra e rosso, che seguiva i bordi della parete. Nella parte bassa, invece, su entrambi i lati, è ancora ben visibile la decorazione dello zoccolo costituita da una serie di quadrati, divisi dalle diagonali in quattro triangoli, nei quali si alternano le parti rosse e le parti verdi in modo da rendere, quasi, l’effetto bugnato.
Sulla parete alla sinistra dell’altare si trova una Madonna col Bambino tra san Sebastiano e san Bernardino da Siena. Quest’opera, di grandi dimensioni, era in origine dipinta su muro, ma, in seguito, è stata strappata dalla parete e riportata su un supporto rigido che fu, però, ricollocato nel luogo originario, come si può desumere dal perfetto incastro tra il bordo superiore dell’opera e la struttura della volta. La parte inferiore del dipinto è però completamente scomparsa. La Madonna è posta frontalmente e siede al centro della composizione su di un trono, tenendo sulle ginocchia il Bambino che sembra dormire. Indossa una veste rossa e un mantello azzurro, orlato di giallo. Sul suo capo è posata una corona con, ai lati due, cartigli su cui non si può più leggere nulla. È molto interessante notare come in questo caso la figura della Madonna si discosta dalle altre già considerate per diversi elementi: in primo luogo la sua corporatura appare molto meno slanciata, il viso è più tondo, il naso meno appuntito e la sua posizione è più rigida, anche per il fatto che è rappresentata frontalmente e non più di tre-quarti; in secondo luogo la particolare veste che lascia scoperte le braccia è qui sostituita da un abito sormontato da un mantello e alla semplice aureola è stata aggiunta la corona.
Ai lati della Madonna, sulla sinistra, si trova san Sebastiano, figura molto diffusa nell’arte anche per il fatto che veniva invocato come protettore contro la peste, epidemia molto frequente sul finire del medioevo. È legato a un albero in una posa leggermente ritorta e ha lo sguardo rivolto verso l’esterno della composizione. Il suo volto non lascia trasparire il dolore causato dalle numerose frecce conficcate nel suo corpo. A causa del cattivo stato di conservazione, la sua anatomia non è più perfettamente leggibile, ma è risaputo che, assieme all’attributo delle frecce, gli era solitamente assegnato un aspetto gradevole e giovanile. Quest’iconografia si diffuse soprattutto a partire dal XV secolo, quando si tese a trasformare san Sebastiano in un corrispettivo cristiano di personaggi e divinità presentati solitamente dall’arte antica nell’aspetto di una perfetta nudità eroica.
San Bernardino da Siena, alla sinistra della Madonna, ha inusuali fattezze giovanili, in controtendenza rispetto all’iconografia più diffusa del Santo che lo rappresenta in età avanzata, magro e consunto dai digiuni, dalle penitenze e dalla predicazione. È avvolto in un saio da frate francescano ed esibisce con la mano destra una tavoletta dorata dalla forma rotonda con il monogramma di Cristo, uno fra gli attributi più usati nell’iconografia di Bernardino che, particolarmente devoto al nome del redentore, lo mostrava al popolo al termine delle sue prediche come segno di pacificazione. Il simbolo del Nome di Gesù è formato da tre lettere (IHS) del nome greco di Gesù. Ne esiste anche la variante IHC, sorta per la somiglianza fra la lettera latina C e la diffusa forma lunata della lettera greca sigma. Il trigramma era inizialmente un’abbreviazione greca, poi venne interpretato come un acrostico latino e spesso arricchito di altri particolari grafici, come la croce o il sole, e utilizzato come monogramma. Lo stesso simbolo si ritrova significativamente al centro della volta a crociera della piccola zona presbiteriale ed è un indizio del ruolo promotore che probabilmente ebbero i frati dell’osservanza francescana nell’edificazione del santuario mariano. L’intera scena è contornata da una fascia viola e verde che richiama gli altri dipinti, ma, nonostante questo, si possono notare alcuni elementi che differenziano questo lavoro dagli altri, a partire dalla già trattata impostazione della Madonna. Il contorno delle figure risulta molto più marcato e scuro fino alla quasi totale mancanza di sfumature nella resa degli incarnati. Per questi motivi si potrebbe mettere in discussione l’attribuzione di quest’opera a Giovanni da Marone.
La leggenda della «Madonna della Rota»
Una nota leggenda del nostro paese narra come avvenne la costruzione del santuario dedicato alla «Madonna della Rota».
Alcuni buoni montanari furono ispirati di costruire una chiesa in montagna.
Il giorno seguente cominciarono il loro lavoro. Il tempo prometteva sereno. Il cielo era limpido. Alcuni uomini trasportarono il materiale su una collinetta.
Il nuovo giorno, pieni di entusiasmo, trasportarono ancora più materiale. Ma a un tratto, ecco si accorsero che il materiale trasportato il giorno precedente non c’era più. Cercarono di qua, cercarono di là e, finalmente, lo trovarono sulla parte opposta della collina, insieme a una ruota di carro.
Dentro di loro sentirono una voce misteriosa che diceva di costruire il santuario in quel posto.
Andarono dal parroco e gli raccontarono l’accaduto. E il parroco rispose loro: «Fate come vi ha detto la voce misteriosa che avete udito dentro di voi».
E i generosi montanari continuarono il lavoro felici e contenti perché compivano un voto alla Madonna.
Dedicarono questo santuario alla Madonna della Rota, il cui nome deriva dalla ruota di carro trovata insieme al materiale.
§~ Sono state formulate molte ipotesi sull’origine del nome del santuario, tra le quali quelle da Ruota e da Rotta.
Molto più semplicemente, mi pare, che il nome originario possa essere stato chiesa della Madonna della Ruata; dal latino medievale Ruata = strada, via [Du Cange].
Maghés, i, bosco
Bosco a Est della Punta Tisdèl.
§~ In latino medievale, Magesia = Prædium rusticum, curtis = fondo, podere.
Makallé, via
Makallé è la via che da via Roma porta al Lungolago Marconi.
Nel 1573 era denominata contrada della Rassega; non è citata nel 1641; nel 1785 è contrada della Rassega; nella mappa del 1808 è denominata Strada Pubblica; nel Piano Viganò compare il Porto della Rassica; nel catasto austriaco è detta via Razzica e comprendeva l’attuale via Makallé e un tratto di via Adua. Nei catasti unitari è detta via Razzica - comprendeva le attuali via Makallé, Adua - e via dei Merdaroli (solo via Makallé).
§~ Toponimo di epoca fascista.
Makallé fu conquistata dalle truppe fasciste - comandate dal generale Emilio De Bono - l’8 Novembre 1935 e rimase dominio italiano fino al 1941, anno del ritorno sul trono di Hailè Selassiè.
Malerbe, contrada del
Il toponimo compare solo nel 1641, anche nella variante Malerbio: «Un’altra pezza di terra aradora, vidata in contrada del Malerbe, […] à mezodi il valzello […] di tavole cinquanta». Probabilmente a sud delle Moie, a valle di Vesto.
§~ Parola composta, Malæ+Herbæ = luogo delle erbacce [?].
Manecali, contrada di
Il toponimo compare solo nel 1573: «Una pezza di terra arad:a, vidata, in cont:a di Manecali […] tavole vinti quattro». Altro nome di contrada di Madetla.
§~ Manécol è un soprannome di persona.
Marco, contrada del
Il toponimo compare solo nel 1641: «Un’altra pezza di terra aradora in contrada del Marco, […] di tavole quindeci».
§~ Dal nome proprio di una persona.
Marconi Guglielmo, lungolago
È il lungolago del capoluogo, compreso tra il torrente Òpol e via Makallé.
Etimologia:
Personaggio storico.
Guglielmo Giovanni Maria Marconi [Bologna, 25 aprile 1874 - Roma, 20 luglio 1937] è stato un fisico, inventore, imprenditore e politico italiano. A lui si deve lo sviluppo di un efficace sistema di comunicazione con la telegrafia senza fili via onde radio o radiotelegrafo che gli valse il premio Nobel per la fisica nel 1909.
Vedi Contrada della Calchera
Mariandrea, cascina
Il toponimo compare solo nella mappa del 1842, mappale 1186, detta anche erroneamente - in un allegato della stessa mappa - cascina Mazzai. È poco a Ovest della Madonna della Rota.
§~ Da un nome proprio o da un soprannome: vi era a Vesto la famiglia Guerini dei Marc’Andrea.
Marone, Marù
L’attuale capoluogo è delimitato, a Nord, dal fabbricato di villa Bagnadore; a Sud dal cimitero; a Ovest dal lago e a Est dalla località Polmagno (oggi occupata dalla Dolomite Franchi). Il capoluogo occupa la porzione Nord del conoide alluvionale dei torrenti Bagnadore e Òpol (la parte Sud a lago è, genericamente detta le Bréde).
Fino alla metà dell’Ottocento - prima della costruzione della litoranea Marone-Pisogne che ha comportato lo sventramento di parte del centro abitato - l’agglomerato urbano si presentava come quello di un tipico villaggio lacustre in cui, dalla via principale, si dipartivano, perpendicolari, i vicoli che conducevano al lago cui corrispondevano piccoli porti e attracchi e occupava l’area tra i due torrenti.
• Popolazione residente: 3.209 (1.553 maschi, 1.556 femmine) al 31/12/2016.
• Densità per Kmq: 139,8.
• Superficie: 22,95 Kmq.
• Denominazione abitanti: maronesi.
• Santo patrono: san Martino (11 novembre).
Località e frazioni di Marone: Vello, Pregasso, Vesto, località Gandane, Ariolo, località Borgonuovo, Ponzano, località Molini di Zone, Collepiano, località Montemarone.
La descrizione di Marone di Giovanni Da Lezze nel 1609.
«Terra di Maron, sparsa à piedi del Monte detto di Maron in Riva del lago d’Ise verso mattina confina con Sali, et con Azzon de fuoghi n°. 60. Anime 700. de quali utili 180. lontana dalla Terra capo di quadra 8 miglia. è di circonferenza di un miglio, et il suo Territorio è di longhezza più di un miglio, et di larghezza altre tanto. Sopra la terra vi sono monti alti con boschi in parte, et à basso con terre arradore di valuta le Boschive de scudi quattro, et le arrative migliori 100 ducati il Piò, essendovi solamente 200 Piò tra li Boschi, et terreni, che si coltivano. Ruode 18, Mulini sopra l’Acqua della Sestola, la qual nasce nelle Montagne, et passa per la terra de raggioni de particolari, facendosi in esse quantità de carboni. Nobili Bressani, li ss.ri Amici, li ss.ri Ermi, li ss.ri Maturi.
Contadini principali, li Guarini, li Caristia.
Chiesa curato dal prete di s. Martin con entrada de 100 ducati,; s. Pietro in Montagna, et la chiesa della Madonna della Rotta officiate qualche volta; Capella di s. Bernardo oratorio, dove molti si ridducono.
Il commun fa tre sindici, che governano la terra, Massaro che scode, et paga, et il Nodaro, che tien conto, ballotati dalla vicinia, et cosi anco un Console, che tutti hanno qualche poco di salario.
Hà di entrada 100 ducati, che si cavano da Boschi, et con essi si pagano le gravezze del Commun
Un forno del Pre Palazzo di Pallazzi, dove anco altri vi hanno parte, et alle volte si fa il ferro, mettendovisi la vena conforme al consueto, che si tuol à Pisogni.
Buoi pera n° 20; Cavalli da somma X; Carrettoni N° 12».
La descrizione di Marone di Costanzo Ferrari nel 1844.
«Marone è questo che ne appare a dritta:
Nel grembo a questi monti si rinvenne
Quella smettica argilla atta a purgare
Panni e coperte. Quivi l’acqua stretta
Entro degli alti vasi in giro muove
Le rote a cui confitti sono i magli,
Che amalgaman fra loro que’ tessuti
Onde il panno è composto: odine i colpi
Che suonano da lunge. E quivi ha capo
Per regal protezione e ingenti spese
Dei municipi la spaziosa via
Che ne adduca a Pisogne. Tu qui ascolti
Il tuonar delle mine squarciatrici,
Il martellare delle picche acute,
Il tonfo delle pietre alto-lanciate
Che ricadon nell’acque e le sollevano,
L’onde commosse propagando in cerchio.
Ecco le cave dei macigni ond’hanno
Le fornaci materia. Qui ai cultori
Manca il terreno, ma ne’ folti boschi
Di remote vallee il tiglio cresce;
E, tradotto quaggiù, l’arte ne seppe
Levar le scorze filaticcie, porle
A macerarsi dentro le dolci acque
Del laco, e quindi con la mobil ruota
Contorcerne le corda a molti stami».
Storia:
Il territorio di Marone capoluogo, edificato sui conoidi alluvionali dei torrenti Òpol e Bagnadore, è morfologicamente digradante verso la costa lacustre con pendenze non trascurabili; è disposto su terrazzamenti in gran parte naturali; ha un substrato ben drenato (favorevole alla coltivazione della vite e dell’ulivo); è soggetto a esondazioni delle valli principali e secondarie (Baravalle e Valzello) con forte trasporto solido (sabbie e ghiaie che, fino a pochi decenni fa, si esportavano, vagliate e lavate, per costruzioni e sottofondi stradali): tutto questo rende improbabile la formazione di zone acquitrinose e stagnanti di una certa dimensione.
I primi abitanti di Marone si insediarono a mezza costa nelle frazioni - Pregasso, Vesto, Ponzano, Collepiano - discoste dai torrenti ma ricche di sorgenti e pozzi (incastellamento).
La presenza dei ruderi della romana Villa Ela (I secolo d.C.) fa, però, presumere che le aree a lago non fossero del tutto disabitate.
Marone faceva parte della pieve di Sale Marasino; nel 1390 è attestata la presenza di un rettore-parroco che amministra i sacramenti nell’antica parrocchiale di San Pietro in Pregasso.
Il comune di Marone è detto Pregatium cum Marono nell’estimo del 1473.
Nel periodo veneto faceva parte della quadra di Iseo. Il comune, che nel 1493 contava 575 anime, all’inizio del ‘600 ne aveva 700 [Da Lezze]. Nel 1764 vi erano 778 abitanti.
Nel XIV secolo il capoluogo ebbe un notevole aumento degli insediamenti grazie al forno fusorio e ai porti in cui confluivano legname e carbone ricavati dai boschi locali.
Nel XVI e nel XVII secolo erano già presenti gualchiere per follatura delle coperte, grazie alla presenza di terra follonica e numerosi mulini.
Nel 1700 si incrementa l’attività tessile - sono presenti nel capoluogo e a Vesto, oltre alla filatura a mano e alle gualchiere, alcuni telai a mano - che impiegava complessivamente circa novanta persone (180 lavoravano nell’agricoltura); nello stesso periodo accresce anche il numero delle ruote di mulino.
Nell’Ottocento su iniziativa di imprenditori locali, si sviluppò l’industria delle coperte di lana e dei feltri per cartiera.
Nel secondo dopoguerra, dopo l’alluvione del 1953 e per il venire meno delle ordinazioni statali, il settore delle coperte di lana decade.
Oggi le attività prevalenti sono l’industria dei feltri per cartiera e lo sfruttamento dei giacimenti di dolomia.
Caratteristica del paesaggio è la coltivazione dell’ulivo (Marone è Città dell’olio).
Lo stemma
Lo stemma del Comune di Marone è stato definito nel 1936 dall’allora podestà, che scriveva nella relazione sull’emblema che esso era «[…] già usato da tempo indeterminato» mentre mette in relazione il toponimo, inteso come derivato da marra (mucchio di sassi; slavina) perché «[…] si ritiene che per temporanee sollevazioni delle acque del lago, il capoluogo abbia subito inondazioni e qualcuna disastrosa». Per questo lo stemma presenta «l’acqua agitata e la croce per triste ricordo o per scongiuro».
L’articolo 4 dello Statuto del Comune lo descrive, erroneamente, come segue: «È composto da un emblema suddiviso in tre parti: nella parte superiore vi è un ramo di castagno con tre frutti (in realtà, sia sul gonfalone che nello stemma comunemente usato, è un ramo di ulivo con 11 frutti, ndr); nella parte centrale rappresenta una fascia d’argento con inserita una croce, simbolo della religiosità del paese; la parte inferiore raffigura il lago sulle sui rive sorge il paese».
§~ Arnaldo Gnaga e Dante Olivieri ravvisano in Marone un accrescitivo della voce gallica [?] Marra, nel significato di smotta, frana o acquitrino.
L’etimologia del nome Marone da Marra è la più accreditata.
In latino medievale, Mara = lacus, stagnum, anche palus [Du Cange].
Marone Pietro da, scuola secondaria di primo grado
La dedicazione della scuola media - come allora era chiamata la Scuola secondaria di primo grado - è dovuta all’errata convinzione che Pietro Marone sia stato nostro concittadino. La famiglia da Marone è, invece, di Manerbio (vi sono, oggi circa 100 famiglie Marone in Lombardia, altrettante in Piemonte e 113 in Campania; sono circa 500 in tutta l’Italia); non vi sono documenti che attestino una sua antica residenza a Marone.
Marone, Maroni e Moroni sono cognomi diffusi in Lombardia.
Vi è anche una famiglia nobiliare dei Marone. I baroni Marone, siciliani, pare si siano trasferiti da Milano in Palermo, da dove traslocarono nella città di Sciacca. In questa città occuparono sempre le cariche di capitano di giustizia e senatore.
Vero è che, alla fine del ‘400, vi è una famiglia de Marone tra i nobili bresciani residenti a Marone e sono i figli di un certo Antonio: Geronimo, Andrea, Bernardo Antonio, Benvenuto e Firmo [Monti della Corte]. Di questa famiglia non vi sono tracce nel 1500 (estimo), salvo non si tratti dei Maturis che, nel 1573, sono Andrea e Francesco fu Antonio.
§~ Pietro Marone nacque a Brescia, o nella vicina Manerbio, nel 1548.
Ricevette i primi rudimenti artistici dal padre Andrea (conosciuto anche come Andrea da Manerbio), pittore. Andrea era, infatti, titolare, insieme con il fratello Benedetto (frate, al secolo Paolo) e poi con l’altro figlio Giovanni Battista, di una fiorente bottega in Cittadella Vecchia.
Il 2 febbraio 1575 il Marone sposò Olimpia Barbisoni, da cui ebbe una figlia, Camilla; rimasto vedovo, nel gennaio del 1578 giunse a seconde nozze con Lucia Chionchini.
Le prime opere documentate del Marone sono da collocarsi tra il 1577 e il 1581, periodo in cui collaborò con Tommaso Bona alla decorazione per la distrutta cattedrale bresciana di S. Pietro de Dom.
Nel 1588 il Marone presentò una polizza d’estimo in cui si dichiarava figlio di Andrea residente in contrada San Benedetto, in Cittadella Vecchia a Brescia, d’anni quaranta.
Pur se la tradizione locale lo dice esclusivamente maestro del pittore Francesco Giugno, l’ampia attività del Marone lascia supporre una bottega piuttosto nutrita.
Pietro Marone morì nel 1603.
Marsulì, villa Baroni, terreno
Terreno, oggi in parte edificato, poco a Sud-Est della contrada del Marzul (di cui, comunque, è parte) delimitato a Est da via Battista Cristini e a Ovest dal lago.
§~ In dialetto bresciano Mars = marcio, putrido; Marsulì è il diminutivo.
Martinazzo, del, contrada
Terreno a Pregasso - lo si deduce dai confini - così descritto nel 1641: «Un’altra pezza di terra aradora, vidata in contrada del Martinazzo, confina à mattina Giovan Maria Zanotto, à mezodi strada, à sera Fran:co Zanotto, et à monte Batt:a, et frattelli Bonfadini di tavole sedeci».
§~ Pare un peggiorativo del nome Martino.
Marù, el, bosco e prato
Il toponimo è relativo ai prati e i boschi che circondano l’omonima cascina ma indicano, anche e specificamente, la porzione di bosco - mappale 1659 - tra l’Òpol e il casolare stesso.
Marù, cascina
Cascina e località a Est di Marone, sulla desta della valle dell’Òpol, tra Daque e la cascina Casello di sotto, a Sud-Ovest di via Grumello.
Oggi è il mappale 1631.
§~ I campi della località sono umidi, perché zona di impluvio (Linea d’impluvio, in un bacino idrico = linea d’intersezione di due versanti montani verso cui confluiscono le acque meteoriche e fluviali).
In latino medievale, Mara = lacus, stagnum, anche palus [Du Cange]. Vedi Marone.
Marzolo, contrada della Breda o del Marzolo detta, terreno
La località è detta anche contrada del Fiume.
Nei documenti le varianti del nome sono Manzolo, Manzul, Marzo, Marzolo, Marzul, Marzuolo, Mazo, Mazori e Mazzolo.
Nel 1573 i Maturis possiedono «uno cortivo cont:a del Marzul, sive del Fiume, à sera il lago […]», con annessi 5 piò di terreno. La casa e il parco rimangono proprietà dei Maturis fino all’estinzione della famiglia. La proprietà passa quindi in eredità ai Fenaroli che, infine, vendono a Giovanni Battista Andrea Cristini, industriale laniero.
§~ In dialetto bresciano Mars = marcio, putrido, fradicio. Marsöl ne è il diminutivo, con senso spregiativo.
Vedi contrada del Fiume.
Maschino, contrada di
Il toponimo è riportato solo nel 1573, riferito a un pascolo a valle del Gölem: «Un’altra [pezza di terra] prativa, montiva, remilingua, corniva, cont:a de Maschino, […] à monte il Comune sotto il Gulem pio duoi tavole settanta».
§~ [?].
Masére, le, località e sorgente
Masére è situata a circa 200 metri a Sud-Est dalla cascina Dosso in Grumello, percorrendo la stradina pianeggiante che porta al torrente Òpol. È area a bosco.
Vi è un serbatoio dell’acquedotto comunale che ha una capacità di circa 120 m3, alimentato da 4 sorgenti, di cui una sita sul retro del serbatoio e tre sparse a circa 300 metri di distanza. È alimentato anche dall’acqua proveniente dal troppo pieno delle sorgenti delle Piane e, in caso di emergenza, può ricevere acqua anche dal serbatoio della Madonna della Rota.
Le principali utenze che usufruiscono dell’acqua erogata dal suddetto serbatoio sono le seguenti:
• Abitato di Grumello;
• Intera frazione di Collepiano;
• Via val Pintana località Gambalone;
• Serbatoio della Costa sito a Pregasso.
All’interno del serbatoio sono presenti l’impianto di potabilizzazione tramite il sistema del biossido di cloro che dosa i quantitativi in proporzione ai consumi di acqua prelevata dalle utenze.
Sempre all’interno del serbatoio è presente l’impianto di telecontrollo, collegato con i computer presenti presso la sede della società e gli addetti reperibili, i quali intervengono per la verifica dei problemi a seguito della ricezione dei messaggi di allarme in caso di anomalie di funzionamento dell’impianto.
§~ [?] In dialetto bresciano, Masér = fittavolo e Maséra = serva, domestica.
In latino medievale, Maserare = picchiare la pietra, [Du Cange].
Matteotti Giacomo, via
È la via chiusa che dal Tèrmen scende a servire un gruppo di case.
§~ Personaggio storico.
Giacomo Matteotti [Fratta Polesine, 22 maggio 1885 - Roma, 10 giugno 1924] è stato un politico, giornalista e antifascista italiano, segretario del Partito Socialista Unitario, formazione nata da una scissione del Partito Socialista Italiano. Fu rapito e assassinato da una squadra fascista capeggiata da Amerigo Dumini, per volontà di Benito Mussolini, a causa delle sue denunce dei brogli elettorali attuati dalla nascente dittatura nelle elezioni del 6 aprile 1924, e delle sue indagini sulla corruzione del governo, in particolare nella vicenda delle tangenti della concessione petrolifera alla Sinclair Oil. Matteotti, nel giorno del suo omicidio (10 giugno) avrebbe dovuto, infatti, presentare un nuovo discorso alla Camera dei deputati - dopo quello sui brogli del 30 maggio - in cui avrebbe rivelato le sue scoperte riguardanti lo scandalo finanziario coinvolgente anche Arnaldo Mussolini, fratello del duce. Il corpo di Matteotti fu ritrovato circa due mesi dopo.
Mazai, Masài, cascina
Mazai, contrada de
Località, cascina e terreno Masài (si pronuncia Madài) sono posti sull’antica strada che porta alla Madonna della Rota, tra la cascina Mazain e il santuario, mappale 972.
Nel 1573 i Maturis sono proprietari di «Un’altra stalla posta in contrada de Mazai montiva coher: da mattina et da sera strada, per uso del massaro». Nel 1641, sempre i Maturis posseggono: «Una pezza di terra aradora, prattiva, vidata et desertiva con stalla, et finiletto in contrada di Mazori […] di piò uno tavole vinti tre». Sempre nel 1641, don Ludovico Guerini, che diverrà parroco di Marone, possiede: «Un’altra montiva, et parte aradora, et parte lamitiva, et guastiva in contrada de Mazai […] pio uno tavole quindici. In detta pezza di terra di tre parti delle quattro di una stalla, et fenile». Nel 1785 la proprietà della cascina dei Maturis, dopo essere passata a Giuseppe Fenari di Vello, è di Giuseppe Maggi, mercante tessile.
La cascina è nelle mappe dal 1808 in poi.
§~ Etimo ignoto.
Mazain, cascina
Cascina poco a Ovest di Mazai, oggi detta Mazai di sotto, mappale 809.
Il toponimo non compare negli estimi, ma a partire dalla carta del 1808.
§~ Diminutivo di Mazai.
Mazzini Giuseppe, via
La via inizia poco dopo la chiesetta di Ponzano, corre parallela a via Zone, attraversa Collepiano e si reimmette in via Zone.
§~ Giuseppe Mazzini (Genova, 22 giugno 1805 - Pisa, 10 marzo 1872) è stato un patriota, politico, filosofo e giornalista italiano, nato nell’allora territorio della Repubblica Ligure, annessa da pochi giorni al primo impero francese.
Le sue idee e la sua azione politica contribuirono in maniera decisiva alla nascita dello Stato unitario italiano; le condanne subite in diversi tribunali d’Italia lo costrinsero però alla latitanza fino alla morte. Le teorie mazziniane furono di grande importanza nella definizione dei moderni movimenti europei per l’affermazione della democrazia attraverso la forma repubblicana dello Stato.
Medoli ossia del Predelato, contrada
La località è a Nord-Est di Marone, sul fianco destro della valle di Verlino: oggi occupa l’area a monte della ferrovia; prima della costruzione della litoranea e della linea ferroviaria, le colture giungevano fino alla riva del lago.
Era zona di cave di pietra calcarea e di fornaci per la calce.
Nel 1785 Ignazio Ghitti possiede «Un poco [di] terreno con fornace di far calcina con qualche pianta d’oliva, nel tener di Marone, in contrada del Predelato […]. La fabrica della fornace per far calsina era del q. [defunto] Arcangelo Ghitti […], in contrada di Cinello, ossia di Medoli con due stanze per commodo d’eesa fornace, e posto tutto il fabbricato sopra il fondo di Pres di Commune».
Le mappe storiche visualizzano lo sviluppo della produzione della calce tra la fine del XVIII secolo e l’inizio del ‘900.
§~ In dialetto bresciano Médol = cava di metalli, di ferro, di pietre; miniera.
Per Predelato, lo Gnaga ipotizza etimologie che mi sembrano fantasiose: «Pré = prato e prati; Préde = pietre + lat = latte». Sempre lo Gnaga suggerisce l’etimologia da Predèla = sgabello per cui Predelàt = fatto a sgabelli, gradini. L’ipotesi non è da escludere poiché le cave, spesso, appaiono scavate a gradini.
Più semplicemente, mi sembra una parola composta, da Pré = prato + lach = lago, Pre del lach.
Menè, cascina
Cascina in Monte di Marone, a Sud-Ovest dello Stallone, scomparsa con l’avanzare della cava di Ponzano. Era, nel catasto austriaco, il mappale 270.
§~ Forse dal dialettale casina de Mènech = cascina di Domenico.
Merdaroli, contrada dei
Nel 1573 si trova: «Peza de tera in contrata de Merdaroli aradora vidata et guastiva […] tavole 12»; in una copia dello stesso documento è detta contrada delle Merdule. Il toponimo si ripete nel 1641; compare nel 1785 come una pezza di terra «lumettiva», arativa, vitata e a castagno a Pregasso.
In una mappa unitaria anche l’attuale via Makallé è detta via Merdaroli.
§~ Probabilmente da un soprannome.
Metelli Giacomo, via
Da via Roma alla stazione ferroviaria, compreso il piazzale retrostante.
§~ Giacomo Metelli [1921-1943] è un caduto militare maronese.
Dedicata a Giacomo Metelli il 5 giugno 1945 dal Comitato di Liberazione Nazionale con la seguente motivazione: «via Metelli Giacomo sostituisce via XXVIII Ottobre: caduto con le armi in pugno in Bolzano l’8/9/1943, insorto contro il tedesco per la redenzione d’Italia dal nazifascismo».
Moglia, Cristì de Sura, area industriale dismessa.
Vedi Cristì de Sura.
Moie, bosco
Parte Sud del bosco nel mappale 1296, a valle della cascina Balestra; è immediatamente a Nord del torrente dell’Acqua Santa.
§~ In dialetto bresciano, Mòia/Móia = melma, acqua stagnante, terreno paludoso.
Moie, contrada delle
La località, a valle di Vesto e a monte di via Caraglio, è attraversata dal torrente Valzello: è in parte pianeggiante e in parte in forte pendenza; oggi è coltivata esclusivamente a orti e uliveti.
Nei documenti le varianti del toponimo sono Moije, Mol, Mole sive della Breda, Moli, Molla, Molle, Mollo e Mulle. È variante di contrada dell’Acqua Marza, anche se, in alcuni casi, ne designa la parte a cavallo del Valzello.
Vedi, anche, Acqua Marza.
Molini di Zone, contrada
Località a Nord-Est di Marone e di Ponzano, anticamente detta contrada dei Folli.
Nei secoli XV e XVI, gli Almici possedevano un follo di panni a Marone [Sina]. Nell’estimo del 1573 Cipriano Almici del fu Graziolo e i suoi fratelli possiedono, a Marone, casa e terreni per un valore di 693 lire, crediti dai contadini per 800 lire e mercanzia per 3000 lire. Che il ruolo della famiglia Almici fosse importante nell’economia di Marone è dimostrato, anche dai dati dell’estimo del 1641.
Nel 1868 il Comune di Zone possiede in via Mulini di Zone - ai mappali 326 e 328 (due ruote) nel 1898 - tre macine di grano.
§~ Dall’antico possesso - da parte prima di privati di Zone e poi del comune di Zone - di ruote di molino nella località.
Moltina, contrada di Colpiano detta, terreno
I campi - oggi urbanizzati, mappali 3740 e 5504 - sono a Collepiano, a Ovest dello svincolo della superstrada, verso la valle dell’Òpol.
È detta contrada della Montina nel 1573. Nel 1641 «Una pezza di terra aradora, vidata in detta contrada [di Collepiano], chiamata la Moltina, […] di tavole dodeci» è proprietà dei fratelli Bontempi q. Comino. Il 15 giugno 1663, Antonio Ghitti dei Bagnadore acquista l’appezzamento, pagandolo 870 lire.
Nel 1785, i terreni Clas, Moltina e Ragni di Collepiano - tre appezzamenti contigui dell’estensione di 4 piò e 24 tavole di arativo e vitato - sono ancora proprietà dei Bagnadore.
§~ Derivato dal dialetto bresciano, Mónt = monte.
Monte, cascina
Cascina in Monte di Marone detta nel 1898 cascina Non, a Sud-Est dello Stallone, scomparsa con l’avanzare della cava di Ponzano. Era, nel catasto austriaco, il mappale 276.
Monte di Marone
Nome generico con cui si denominano la Punta Cunicolo e il Cunicolino, (vedi).
Le aree non coltivate, di proprietà comunale, sono così descritte nel 1641: «Una pezza di terra montiva, corniva, et murachiva in contrada del Monte di Marone, confina […] à sera il lago, et à monte il Comune di Zone, et parte il Comune di Vello immisurabile, et impraticabile».
Monte di Marone, contrada
Il toponimo generico contrada di Monte di Marone definisce le zone coltivate a Nord di Marone, da Tezolo a Verlì, (Rovadine, anticamente, era quasi proprietà esclusiva dei Ghitti di Bagnadore).
Monte di Marone, via
La via inizia da Piazze - poco dopo il ponte sul Bagnadore - e serve le cascine sul monte omonimo.
Monte Guglielmo, albergo
Prima dell’insediamento della Dolomite Franchi e dell’Elettrografite - aziende che oggi definiremmo fortemente inquinanti - a Marone vi erano tre alberghi, il Monte Guglielmo, il Brescia e il Due Spade. I tre alberghi compaiono nelle fotografie storiche.
Monte, contrada del
È la definizione generica si indica la zona a Est di Collepiano, per cui vi è, per esempio, il terreno detto Gas nel Monte, oppure, in contrada del Monte, dove se dice Arai, etc.
Monte nero, via
È la via che da Ponzano porta ai Molini di Zone, già via dei Folli.
§~ Deve la sua fama alle azioni belliche che il 16 giugno 1915, durante la prima guerra mondiale, portarono alla sua conquista da parte dell’esercito italiano. Fu la prima importante azione militare della guerra. Il 3º reggimento alpini composto dai battaglioni Susa, Pinerolo, Exilles e Fenestrelle, al comando dell’allora colonnello Donato Etna con un’azione notturna occupò la vetta del monte costringendo alla resa il presidio nemico e resistendo ai successivi contrattacchi austriaci.
Monticelli, Montadèi, contrada
Monticelli, Montadèi, cascina
Cascina posta su fianco destro della valle dell’Òpol, sulla via che parte dalla Provinciale 32 Marone-Zone - che, nel territorio di Zone, è detta via Nodata e, in quello di Marone, via Grumello - e porta alla Madonna della Rota: è in una zona panoramica, collocata su un poggio.
Il toponimo è citato a partire dal 1785: «Una cosinetta, con camerina sopra fabricata nella contrada di Monticelli sopra il fondo di Pres di Commune». La cascina è in tutte le mappe dal 1808 in poi. Nel 1808 non è servita da alcuna strada; nel 1842 è segnato un sentiero che non compare nel 1898. Oggi è il mappale 1647.
§~ In dialetto bresciano, Montadèl è diminutivo di Mut = monte.
Morandini don Andrea, villaggio
Condomini di recente costruzione in località Gandane.
§~ Don Andrea Morandini, parroco di Marone, nato a Bienno nel 1894; fu ordinato sacerdote nel 1918.
Fu curato a Saviore dal 1918 al '32; parroco a Marone dal 1932; nominato monsignore nel 1961.
Coltivò sempre la passione dello storico, dell’attento raccoglitore di memorie locali; diede alle stampe diversi saggi come Folklore di Valle Camonica, Marone sul Lago d’Iseo, la biografia del seminarista Bernardino Sisti e la Storia di Bienno. Donò alla diocesi l’area di sua proprietà, intorno ai ruderi dell’antica chiesa di S. Pietro su cui sorse poi l’Eremo, un centro di spiritualità e attività pastorale; all’Eremo donò anche la sua ricca biblioteca. Muore a Bienno il 14 luglio 1980.
Morellina, Cap dela Murilina, terreno
Campo della cascina Carai situato all’estremità del podere, verso Sale Marasino, a prato stabile e olivato, poco fertile e in parte scosceso, confinante col podere Morellina, da cui ha preso il nome.
§~ Nel 1700 Morellino era il soprannome di un membro della famiglia Zanotti della Morella di Pregasso. Il femminile è dovuto, probabilmente, al fatto che negli estimi e negli atti notarili, almeno fino alla metà dell’800, non si usava il termine campo o terreno, ma la parafrasi pezza di terra.
Moretta, contrada della
Nel 1573: «Una pezza di terra arativa, vidata cont:a della Moretta […] à sera il lago tavole novanta cinque»; è detta anche contrada della Morella e nel 1641 delle More.
§~ Storpiatura di contrada delle Moie, vedi.
Mota, contrada di
È citata solamente nel 1573: «Un’altra arad:a, vidata, olivata montiva, boschiva, guastiva, et limetiva cont:a da Mota, […] à sera valzel con un poco di staletto pio duoi tavole quaranta».
§~ Variante di Moia. In latino medievale Mota è sinonimo di Aqua mortua = acqua putrescente [Du Cange].
Mül, la, terreno
È il campo della località Termine, dove sorgono le attuali scuole medie; è l’attuale mappale 518.
Il toponimo si trova, già, nel 1573: «Un’altra arativa, vidata cont:a delle Mulle […] tavole otto». Il toponimo simile, Molle, indica invece le Moie.
§~ In dialetto bresciano, Mül = mulo.
Mulini, strada comunale detta dei
Antica via acciottolata e a scalì - quasi parallela al canale Sèstola - che da via Piazze portava a Ponzano, passando per le località Polmagno e Bastiano; in quest’ultima vi era il Ponte di pietra detto dei Mulini. Il ponte era in pietra poiché vi dovevano transitare, anche, le pesanti pietre molitorie che, di tanto in tanto, andavano sostituite.
§~ Per la presenza di numerosi mulini lungo il suo percorso.
Mulino Panigada
Unico mulino rimasto sul territorio di Marone, è in via Piazze; era alimentato dalle acque del Vaso Ariolo. Documentato già nel XVII secolo, oggi è il mappale 162. Saltuariamente è messo in funzione.
Nel 1850 era intestato al sacerdote Domenico Ghitti e al fratello Francesco fu Giovanni Battista e ad Antonio, Maddalena e Girolamo Ghitti fu Ignazio.
Nel 1861 passò a Giuseppe Signoroni fu Cassandro. Nel 1861 passò a Vittore Fontana fu Mattia. Nel 1868 passò a Maria Ghitti fu Giovanni Battista. Nel 1876 passò a Bartolo, Luciano, G. Battista e Giacomo Guerini di Gioacchino proprietari e a Guerini Gioachino fu Giacomo usufruttuario in parte. Nel 1890 passò a Luciano e Giovanni Battista Guerini di Gioacchino proprietari e Guerini Gioacchino fu Giacomo usufruttuario in parte. Nel 1893 passò alla Banca Popolare di Iseo (succursale a quella di Brescia) Nel 1895 passò a Panigada Paolo fu Francesco. Nel 1895 passò a Negrini Bortolo fu Giacomo. Nel 1905 passò a Panigada Francesco di Paolo.
Nel 1935, alla ditta Panigada Francesco di Paolo sono allibrati i seguenti immobili: “molino ad acqua in via Piazze al Civ. n° 56 di piani 1 e vani 2 in mappa al n° 163 sub 1, porzione di casa annessa di piani 1 vani 2 in mappa al n° 163 sub 2”.
Municipio
Il municipio di Marone è in via Roma 10.
Edificio ottenuto dalla ristrutturazione del fabbricato della ex Scuola Elementare costruita negli anni ’20 del Novecento.
Municipio vecchio
Era un edificio settecentesco, di buona fattura, abbattuto nei primi anni ’80 del Novecento, per allargare via Roma. È sempre stato sede municipale: nella mappa del piano Vigano è detto “Casa della Comune”.
Murasa, contrada della
È citata solamente nel 1573: «Un’altra arad:a, murachiva cont:a de la Murasa […] tavole trenta cinque».
§~ In dialetto bresciano, Müràs = «difesa di muraglia fatta alla ripa verso l’acqua per discostarla», argine; Müràca = pietraia.
Murilì de Guì, el, bosco
Parte del bosco - mappale 1211 - a Nord-Ovest della cascina e della località Guì.
§~ In dialetto bresciano, Morèl = livido, ematoma.
In latino medievale, tra i vari lemmi con radice Mor-: Morella = palo, recinzione in legno, [Du Cange].