La famiglia a Marone (secc. XVII-XIX)
Roberto Predali
Nella società di Antico Regime è naturale che i genitori convivano con i figli se questi si coniugano - non giovani per i parametri del tempo, più verso i 30 anni che i 20 - prima del loro decesso; così come è scontato che, spesso, alcune figlie siano destinate al celibato coatto (il legato testamentario destinato alle donne è, in questo caso, subordinato alla formula «purché si mantenga casta e abiti nella casa paterna») e convivano con i fratelli sposati.
Con questi presupposti la famiglia ha forme non determinabili a priori: una famiglia multipla verticale (figli sposati che convivono con i genitori) è tale fino alla morte del genitore, poi può generare una o più famiglie nucleari (i due coniugi con figli), multipla orizzontale (fratelli sposati conviventi) o estesa (fratelli sposati conviventi con altri parenti) o, infine, può estinguersi se manca discendenza maschile.
Se essenziale, per identificare una famiglia, è l’abitazione non si può però prescindere dalla sua proprietà: fratelli che vivono in una casa a proprietà indivisa non hanno gli stessi rapporti di coloro che, pur fratelli, abitano in un cortivo a proprietà divisa. Oltre al legame di sangue i primi condividono un bene mentre i secondi sono legati solo dai rapporti di parentela. Lo stesso vale quando, oltre alla casa di abitazione sono comuni alcuni possessi terrieri o, più raramente, tutti (il Fedecommesso serviva, appunto, a mantenere una famiglia unita attorno alla comune e inalienabile proprietà).
La famiglia media maronese è composta, nel 1600 e nel 1700 di 5/6 persone (circa 700 abitanti e 133 partite d’estimo di residenti corrispondenti, all’incirca, ad altrettante famiglie, nel 1641 e circa 820 abitanti e 150 famiglie alla fine del XVIII secolo).
A mantenere basso il numero dei membri del nucleo famigliare contribuiscono, principalmente:
• il matrimonio in età piuttosto avanzata (23 anni, in media, per le donne e 28 per gli uomini di Vesto in gran parte contadini, 21 per le donne e 24 a Ponzano dove la popolazione è maggiormente legata ad attività manifatturiere); di conseguenza il periodo fertile delle donne è di 17/19 anni (in genere con un figlio ogni 2/3 anni);
• l’età media della vita bassa: 54 anni, se si escludono i decessi anteriori ai 21 anni, e 29 nel complesso;
• l’alta mortalità infantile e giovanile: a Vesto, su 404 nati, 81 muoiono a meno di 1 anno e 271 prima dei 17 anni (1800-1850).
GLI ARTIGIANI
Nel XVII secolo, con 2 sole eccezioni di famiglie multiple orizzontali (fratelli sposati conviventi), tutti gli 11 artigiani - Ghitti, Guerini, Cristini e Zeni - hanno famiglie nucleari (6) o multiple verticali (3).
Sette edifici di mulino su 10 (e 2 gualchiere su 4) sono affittati - «si batte il sesto» -: l’attività è ceduta a terzi, aumentando considerevolmente il numero delle famiglie che direttamente traggono il proprio sostentamento dall’artigianato. Sarebbe da verificare se, in questo caso, la coabitazione coinvolga, oltre ai familiari, anche i dipendenti o alcuni di essi.
Le ruote di mulino e le calcare, evidentemente, non si suddividono come i terreni e di esse non si condivide la proprietà come per le abitazioni.
• La famiglia degli artigiani si sviluppa da nucleare a multipla verticale fino alla morte del padre per poi tornare nucleare;
• i fratelli del proprietario dell’attività collaborano e vivono in abitazioni limitrofe;
• a essi, spesso, si aggregano - nella stessa porzione di territorio - altri parenti (cugini e nipoti di vario grado).
Per gli artigiani, il ciclo della famiglia è, dunque, da nucleare a multipla a nucleare, spesso - come per i Ghitti mugnai -, con aggregazione territoriale che surroga la famiglia estesa.
Nell’estimo mercantile del 1750 la situazione è sostanzialmente immutata per i mugnai (N→M→N). Si riscontra l’ingresso di un nuovo tipo di artigiani - i produttori di coperte - in gran parte di Vesto - Guerini e Sina (una sola famiglia di Pregasso e i Maggi abitano nel capoluogo) che, quasi tutti, vivono in famiglie complesse (N→M→M), struttura maggiormente funzionale alla nuova attività in cui si coniugano agricoltura e artigianato.
È solo con l’introduzione del Catasto in epoca napoleonica che la proprietà dei mulini - nei secoli precedenti ereditati dal primogenito - diviene indivisa tra fratelli, come è il caso del mulino di Ariolo che nel 1600 è proprietà di Cristoforo Ghitti e nel Catasto austriaco è dei fratelli Luigi, Marco, Pietro e Giacomo Guerini.
Per gli artigiani (in gran parte poiché fanno eccezione i Guerini della Rassega) modi diversi di tassazione e di censimento dei beni (Estimo fino alla fine del 1700 e Catasto poi) e la conseguente diversa distribuzione ereditaria del patrimonio influiscono sulla forma essenziale della famiglia.
I CONTADINI
Sulla base dei dati statistici del Libro per le Famiglie il ciclo della famiglia dei contadini è quasi sempre N→M→M (nucleare→multipla→multipla). Tutte le famiglie nascono come nucleari per diventare - salvo pochi casi, riferibili soprattutto alle famiglie che si estinguono dopo poche generazioni, in genere per mancanza o morte prematura di eredi maschi - multipla verticale con il matrimonio di un solo figlio fino alla morte del padre, multipla orizzontale se il padre e la madre premuoiono al matrimonio dei figli, estesa se convivono altri parenti. Quest’ultima è la forma più diffusa poiché con il figlio sposato convivevano, anche dopo la morte dei genitori, i fratelli non coniugati (celibato ecclesiastico e celibato e nubilato coatto) e raramente e per brevi periodi zii e zie. Non fanno eccezione i figli “separati” (quelli che, con il matrimonio, abbandonano la casa paterna).
Sebbene ci fornisca una visione sincronica, ci aiuta la comparazione dei dati anagrafici con le polizze d’estimo del 1785, in cui per Vesto compaiono 8 partite collettive - intestate a fratelli o eredi - su 23.
L’aggregazione territoriale delle famiglie è un dato costitutivo poiché tutti i clan hanno origini stanziali precise. Ne deriva, mi pare, un nuovo legame che si aggiunge a quello di sangue, il senso di appartenenza, oltre che alla propria singola famiglia:
• a un luogo: Vesto è composto esclusivamente di gruppi Guerini, Pregasso dai Cristini e dagli Zanotti, Collepiano dai Bontempi e dai Gigola;
• a gruppi di famiglie con un soprannome unificante;
• alla parentela estesa: i vari gruppi parentali sono accumunati tra loro, oltre che dal cognome, da una complessa rete di matrimoni fra consanguinei.
L’ESTIMO DEL 1637-1641
Nell’estimo del 1637, 133 partite sono intestate a persone fisiche residenti a Marone e riportano la composizione della famiglia (cui si aggiungono 10 residenti forestieri, 9 famiglie nucleari e una estesa con la sola convivenza di un fratello). Sebbene non sia indicata la componente femminile della famiglia, è, comunque, riscontrabile una notevole varietà delle strutture tra le quali prevale la famiglia nucleare.
Il 42% delle famiglie (56) è nucleare, sebbene in molte non sia da escludere la convivenza con la vedova del padre e le sorelle non sposate del titolare.
Diciannove partite sono di fratelli e 13 sono gruppi parentali di fratelli conviventi senza eredi maschi di cui 5 sono di 2 o più fratelli minori e 4 di fratelli con meno di 20 anni. Tre partite sono di figli unici maschi minori di 16 anni che, presumibilmente, abitano con la madre e le sorelle. Dieci sono partite intestate a donne, 3 a vedove e 7 a figlie, e si riferiscono a eredità. Cinque partite sono di figli separati (3,8%). Le famiglie sicuramente complesse (multiple o estese) sono 27 (20%).
Guerini e Ghitti sono i gruppi parentali più numerosi di Marone e rappresentano il 42% della popolazione.
Le 28 famiglie Guerini che si riscontrano nel 1636 abitano a Marone (6 famiglie), ad Ariolo (4), a Ponzano (1), a Pregasso (1) e a Vesto (16). Complessivamente si tratta di 99 membri maschi (con rapporto1,1/1, le femmine dovrebbero essere circa 90, per un totale di 189 persone, circa ¼ della popolazione di Marone). Tredici famiglie sono nucleari, 9 sono, in vario modo, complesse, 6 sembrano di solitari.
I titolari delle 27 partite Ghitti che si trovano nell’estimo del 1636 abitano a Marone, a Ponzano e a Collepiano. Complessivamente si tratta di 83 membri maschi (con rapporto1,1/1, le femmine dovrebbero essere circa 75, per un totale di 158 persone, circa il 20% della popolazione di Marone). Dodici famiglie sono nucleari, 5 sono, in vario modo, complesse (1 partita è una eredità a due sorelle), 7 sembrano di solitari; inoltre vi sono 1 nubile e 1 vedova.
IL XVIII SECOLO, LA RIAGGREGAZIONE
Se alla fine del XVIII secolo si analizza, la coabitazione - in genere una casa a corte - indipendentemente dalle divisioni proprietarie, le famiglie 27, 28 e 29 dei Pestù - la Marone 35 e la 8 Ponzano, sempre dei Pestù, sono esplicitamente “separate” - dovrebbero costituire una “famiglia complessa” mentre, in realtà, costituiscono numerose famiglie nucleari (ognuna ha proprietà indipendenti e una gestione economica autonoma). I Pèstù con partita sono Giovanni q. Cristoforo (coniugato con due figli, famiglia nucleare in cui convive la madre di Giovanni), suo nipote, Giuseppe q. Pietro q. Cristoforo (celibe, solitario), e i nipoti del primo e cugini del secondo, Pietro Antonio q. Bartolomeo (unico sposato con due figli nel 1785: ne avrà poi altri 3), i suoi fratelli Salvatore e Battista q. Bartolomeo (non sposati e conviventi) e Pietro q. Pietro q. Pietro (celibe, solitario). Tutti abitano in contrada di Piazze.
La contrada - delimitata a nord dal canale della Sèstola, a ovest da quello del Bagnadore Basso, a sud ed est dalla via dei Mulini e dal Vaso Ariolo - è costituita di 13 particelle catastali (1808), di cui tre a uso promiscuo abitazione/mulino (i mappali 131, 151, i cui mulini sono mossi dalle acque della Sèstola, rispettivamente dei Ghitti Pèstù, dei Ghitti del Gotard e il mappale 163, proprietà di Bonaventura e Paolo Guerini q. Giulio della Rassega, anch’esso mulino ma che utilizza l’acqua del Vaso Ariolo).
Gli abitanti della contrada sono - a eccezione di un Geronimo Cassia - tutti Ghitti delle famiglie Pèstù, Cucù e Gotard: in questo gruppo di abitazioni - a forma di trapezio in cui il lato più corto e costituito dai due mulini e gli altri lati dalle abitazioni, con al centro le corti e gli orti - vivono, alla fine del 1700, almeno 25 parenti di 3 generazioni.
Nella stessa contrada abitano i loro cugini Cucù-Gotard (4 nuclei famigliari): Antonio (celibe solitario) e Defendo (sposato, nel 1785 senza prole) del Cucù vivono in due porzioni distinte della stessa abitazione; Giovanni del Gotard abita con la moglie e i 4 figli (nucleare); Giuseppe del Gotard vive con la moglie e un figlio (nucleare).
Inoltre, anche Giuseppe Ignazio Ghitti q. Giovanni Battista di Ignazio - famiglia che da nucleare diviene estesa, con la convivenza del padre con i due figli coniugati - che ha sposato Apollonia dei Pèstù, possiede una casa nella stessa contrada.
I cugini Ghitti sono accumunati dalla contiguità delle abitazioni e dei mulini. Come se ciò non fosse sufficiente a legare le varie famiglie, intervengono i matrimoni delle donne dei Pèstù: oltre a Giuseppe Ignazio che ha sposato Apollonia, vi è anche Gottardo di Giovanni che ha sposato Caterina.
IL LIBRO PER LE FAMIGLIE
Il Libro per le Famiglie - 472 facciate, rilegato recentemente - iniziato alla fine del 1700 dal parroco Giorgio Buscio è strutturato come albero genealogico in cui l’elemento unificante è l’abitazione cui corrisponde il foglio di famiglia, ma non la sua proprietà che nel tempo può frazionarsi tra gli eredi del capostipite.
Nel momento in cui un membro della famiglia abbandona, con il matrimonio, la casa paterna, il parroco compila un nuovo «foglio di famiglia» - spesso con l’indicazione «separata da n° x» - in cui è indicato il soprannome di famiglia antico o nuovo. I dati si interrompono verso il 1865, quando diviene operativa l’anagrafe comunale.
Nell’elaborato del Buscio non compaiono la categoria dei Solitari, che pure esistevano e numerosi. Contrarre matrimonio o meno era una scelta determinata per gli uomini, soprattutto, dalla possibilità di mantenere una famiglia (proprietà di una casa e di terreni o esercitare l’artigianato come proprietario o dipendente, o, più spesso, entrambe le attività nella figura dell’artigiano/contadino o dell’operaio/contadino) e per le donne la disponibilità di una dote (in genere una piccola somma di denaro che era versata a rate e uno o più appezzamenti di terra). Nel Medioevo «Familia id est patrimonium» e anche nei secoli seguenti non si costituiva una famiglia se non vi era un patrimonio. Sia per le donne sia per gli uomini nella scelta matrimoniale era spesso decisiva la volontà paterna; per questi ultimi era, il più delle volte, determinante, quando i maschi erano più di uno, la necessità di non frazionare il già misero patrimonio famigliare.
Nel XVIII secolo, in particolare a Vesto e sull’onda di un fenomeno più generale, si assiste al boom delle vocazioni sacerdotali (celibato maschile) che in alcuni casi vede interpreti figli primogeniti, determinato, il più delle volte, dalla volontà di emancipazione sociale e dalla disponibilità di cappellanie (nella parrocchiale o in San Pietro e, verso la fine del XVIII secolo, anche a Vesto) che garantivano una misera rendita.
I SOPRANNOMI
«Nell’accezione moderna, con soprannome s’intende un elemento onomastico aggiunto al nome personale. Può essere riferito a un individuo o a una famiglia intera; in determinati ambienti può sostituire il vero nome e cognome. […] Attraverso il soprannome un individuo è noto nella comunità e con esso viene distinto da omonimi; esso può avere anche la funzione di segnalare l’appartenenza a un dato ramo della famiglia.
In quanto nome, è strumento dell’atto di riferimento identificante; ma in quanto sopra-nome, è strumento di veicolazione di un plusvalore informativo, allo stesso tempo idiosincratico e tipizzante, singolarizzante, socializzante e per l’aspetto comunicativo è uno strumento di raccordo tra vita sociale concepita nella concretezza delle interazioni personali e sistemi che classificano le persone e i comportamenti personali, saldando schemi percettivi e tassonomie culturali della collettività» (TRECCANI).
Nel 1500 e nel 1600, nei documenti ufficiali, il ricorso agli appellativi è limitato esclusivamente ai Cristini del Tédèsch. Le persone sono indicate con nome, cognome e patronimico, questo ultimo preceduto in genere dal q. (quondam, figlio del fu) e più raramente - nel 1641 in 4 casi - dal [figlio] di.
Nel XVIII secolo - per l’abitudine di chiamare il primogenito maschio con il nome del nonno paterno e la primogenita femmina con il nome del nonno o della nonna materna e con il conseguente aumento esponenziale degli omonimi e per l’incremento delle famiglie di figli “separati” - le famiglie sono chiamate per soprannome (scotöm): per le sole famiglie che ancora oggi abitano a Marone se ne contano 90.
Quasi tutti i maronesi hanno, dunque, un nome, un cognome, il patronimico, il soprannome di famiglia e, spesso, il soprannome personale.
Tra la fine dell’Ottocento e i primi decenni del Novecento alcuni soprannomi divengono obsoleti - per esempio, i Signorelli di Ponzano divengono i Cristì de Sura e i Cristì de Sota - oppure si sostituiscono quelli più antichi con nuovi in seguito alla formazione di nuove famiglie - una famiglia degli Zanotti Ross diviene i Nèdre, una dei Fontane diviene Sènigalgia, che si dirama a sua volta nei Fopèle, una Afre diviene di Fiora etc. - oppure ne nascono di nuovi, per esempio, gli Uccelli, che non avevano soprannome, divengono i Folècc, probabilmente da un toponimo.