La “Fabbrica” della nuova parrocchiale – 02

L’anno esatto dell’inizio lavori non lo conosciamo…

Descrizione

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La "Fabbrica" della nuova parrocchiale - parte seconda.

Si diceva che la soluzione al problema di dove costruire la nuova parrocchiale è trovato nel 1710, quando Lorenzo Ghitti della famiglia dei Ghitti di Bagnadore propone l’acquisto del proprio orto, posto dietro la vecchia parrocchiale.
Il sito è consono e l’affare è fatto, il 10 Marzo dello stesso anno, anche se la compravendita dell’area è perfezionata solo nel 1723 con la permuta dell’orto Ghitti con l’edificio chiamato «il Carbonile» – di proprietà comunale – posto in contrada del Forno, attuale zona ex feltrificio Moglia .
I lavori possono, dunque, iniziare.

L’anno esatto dell’inizio lavori non lo conosciamo.
È certo che il 1717 (data incisa su un pilastro del sottotetto) - è stata scoperta da don Enrico Andreoli curato di Marone nel 1989 quando si curò il restauro della chiesa - segna l'anno di copertura del tempio e, quindi, il sostanziale termine dei lavori murari.
Il 3 giugno 1723 – un editto del doge Aloisio Mocenigo – prescrive che il tempio deve rimanere libero.
«[...] Trovandosi molto utile, e opportuno, come lo riferisce anco la Vostra prudenza nelle Lettere 26 Aprile passato agli oggetti della quiete, al miglior culto del Sig. Iddio, nella chiesa Parochiale nuovamente eretta con la permission Nostra nella Communità di Marone di cotesto Territorio [...], con cui resta stabilito, che il novo Tempio predetto habbia a rimaner libero a chi si sia, ne alcuno ardisca situarvi, ne impadronirsi de Banchi particolari [...]» .
Questa grida ci permette di stabilire che nel 1723 la chiesa era terminata, almeno nella sua principale struttura e officiata, anche se ancora non consacrata.
A proposito dei «banchi particolari». Anticamente le chiese non avevano panche né inginocchiatoi per i fedeli; solamente le famiglie più abbienti li facevano costruire e collocare in chiesa a proprie spese per proprio uso esclusivo. Si vede che qualcuno non della famiglia pagante li usava e da qui la controversia. Alcuni di questi banchi erano ancora nella parrocchiale negli anni Ottanta del Novecento e furono, poi, portati nelle chiese del Carmelo (dove vi sono anche i due settecenteschi confessionali) e di San Pietro.

Chi lavorò alla costruzione della nuova parrocchiale e chi era il capomastro?
Di certo a progettarla non fu Bernardo Fedreghini, noto architetto, poiché – a parte la perizia del 1708 e, forse, a causa di quella – non è più citato in alcun documento: «Un vero documento di conferma degli atti progettuali del Fedrighino non venne mai ritrovato né tanto meno, negli studi successivi si trovarono sue presenze in Marone, segnalate in carte di pagamenti e altri documenti conservati nel nostro archivio [parrocchiale] o nell'archivio di Stato di Brescia» [F. Rubagotti- V. Volta in Bollettino parrocchiale Settembre 1989].
Nel testamento di Maria Ghitti fu Francesco del 1722 sono presenti come testimoni «il Maistro Lodovico Canozzale q. Carlo, Maistro Giorgio Lazari detto di Pietro, Maistro Batta Carbone q. Antonio, tutti del Lago di Como, Maestri che fabrican nella nostra Chiesa, et Ciosetto Giglio detto di Carlo Francesco di Valvasna, et Maistro Domenico Lombardino q. Bernardo, pure Comasco».
Erano alcuni dei tanti maestri comacini che lavoravano alla fabbrica della parrocchiale.
Nel Libro del Massaro del Comune di Marone (1725-1805) ne sono citati altri, tra i quali, a pagina 16, Carlo Cetti e il fratello (forse Giovanni) .
In particolare Giovanni Cetti è pagato alle pagine 38 (lavoro non specificato), 54 (lavoro non specificato), 62 (giornate fatte all’altare delle Reliquie) e 84 (lavoro non specificato).
A pagina 14 sempre del Libro del Massaro del Comune di Marone (1725-1805), nel 1726, sono pagate 3 lire per aver «aggiustato il tetto del cimiterio» a un certo Battista «capo mastro della Fabbrica». A pagina 22 sono pagate 5 lire e 15 soldi «a m.stro Batista Ferari maestro della Fabrica […] per haver ragiostato il copertume della chiesa».
Dunque chi sia il progettista e il probabile capomastro della parrocchiale non è chiaro. I nomi papabili sono, mi pare, Giovanni Cetti (padre del più famoso Pietro Antonio) e Battista Ferrari (di cui non ho alcuna notizia).

Chi ha pagato le spese per la costruzione della parrocchiale?
Erigere una chiesa è un’opera complessa, che coinvolge numerose competenze: certo è che l’onere di gran parte delle opere murarie fu a carico del Comune, come appare dai pagamenti presenti nel Libro del Massaro.
A carico del Comune furono altre spese.
Gli affreschi della volta, del presbiterio e delle volte degli altari laterali, opera di Domenico Voltolini, sono probabilmente realizzati nel 1732, poiché risulta un pagamento «al s. Domenico Voltolino pitore» di 245 lire; nel 1740 vi è un altro pagamento di 22 lire; nel 1743 sono pagate 105 lire a Gaudenzio Bombastoni per la realizzazione dell’altare maggiore.
Furono pagati ad Antonio Brognolo di Brescia una lampada d’argento (p. 36), allo stesso Brognolo 2 vasi d’argento (p. 50), a «Gioseppe Tempino q. B.ta di Peschiera lire due cento quaranta cinque per aver fatto il Deposito al Altare delle S.te Reliquie» p. 62, etc.

Altri, i privati, concorsero alle spese, a cominciare da Antonio Ghitti dei Bagnadore, ancor prima che si cominciasse la “Fabrica”.
Il 6 marzo 1708 Antonio Ghitti «seriamente riflettendo» stende il proprio testamento «à fin che trà miei figl.li et posteri non nascha lite, ne controversia alcuna». Antonio è, al momento della stesura del testamento, «con il corpo indisposto»: l’atto è stato rogato, nella casa di Bagnadore «in una camara superiore chiamata il camarino» dal notaio Marco Tomasi di Sulzano, alla presenza dei testimoni Geronimo Zeni q. Giovanni Antonio, Pietro Antonio Rossetti q. Giovanni, Fortunato Zeni di Antonio, Giovanni Battista Zeni q. Giovanni Antonio, Matteo Guerini q. Pietro, Andrea q. Stefano Guerini e Giovanni Zeni q. Giovanni Battista.
Tra le altre disposizioni vi il legato per l’erigenda nuova parrocchiale di 600 lire planette (in sei rate annuali) che gli eredi verseranno «se si fabbricherà nuovam.te, et di nuova pianta», come già deciso dal Comune, entro sei anni dalla sua morte, anche se esprime dubbi sull’effettiva volontà dei maronesi di edificare una nuova parrocchiale («non vedendo risoluzione a far tal fabbrica»).
Anche Annunciata Gigola nel 1715 e Maria Ghitti nel 1722, nei loro testamenti hanno un legato a favore dell’erigenda parrocchiale; ma, senza dubbio, vi furono altri testatori che, nei loro legati per l’anima , lasciarono una parte dei propri beni per la costruzione della chiesa.

JUSPATRONATO GHITTI

Nell’antica parrocchiale vi era uno juspatronato, quello Ghitti di Bagnadore, sull’altare del Rosario: l’altare rimane di proprietà dei Ghitti fino ai primi anni dell’800, per cui si presume che per le spese del nuovo siano state usate le buone disponibilità dello juspatronato stesso.
La relazione di Ludovico Guerini del 1669 recita testualmente «lire 2030 lasciate da Domino Giovanni Pietro Ghitti nel testamento rogato per Geronimo Rossi notaio in Iseo sotto il di 7 Giugno 1645 nel quale ha instituito Capellano per celebrare le messe il Reverendo Signor Gioseffo Zino [cognato di Giovanni Pietro, ndr.], et esso fa satisfar al carico di tal celebrazione per me Padre Ludovico Guerrino et ciò conforme al decreto dell’Illustrissimo et Reverendissimo Marco Morosini fatto nella visita sotto il di 11 Maggio 1648». L’altare, a quell’epoca, godeva di altre rendite (10 legati per il capitale di 3495 lire) tra le quali spicca il legato di 1230 lire lasciato da Andrea Guerini.
L’antica parrocchiale aveva tre altari, l’altare Maggiore, quello della Scuola del SS. Sacramento (dedicato anche a san Bernardino da Siena) e quello del Rosario. Reggenti degli altari, nel 1677, sono rispettivamente il parroco Ludovico Guerini, don Giovanni Maria Almici - che celebra cinque messe la settimana - e Marco Antonio Guerini che «ha l’obbligo di messe quattro». La cappellania Ghitti è già costituita da 32 anni e, a questa data, della famiglia titolare del juspatronato, è sacerdote solo Antonio di Bartolomeo nipote dei Bagnadore che dal 1660 è parroco di Sale Marasino. La famiglia «alla fine degli anni settanta» del ’600 commissiona a Pompeo Ghitti la pala dell’altare raffigurante la Madonna col Bambino in trono, che, dopo la costruzione della nuova parrocchiale, andrà ad ornare l’altare del Rosario fino al 1941, quando, nel riassetto degli altari, fu sostituita da una nicchia contenente la Madonna di Lourdes.
Lo juspatronato Ghitti venne mantenuto anche nella nuova parrocchiale e il patrimonio dell’altare venne accresciuto, oltre che dalla conferma della cappellania da parte di Antonio, anche dai sostanziosi lasciti dei figli di questi, che, ottemperando alla volontà di Giovanni Battista, cedono all’altare i beni non compresi nel fedecommesso paterno.
La recessione dai diritti juspatronali è dei primi decenni del 1800 quando Giuseppe Alessandro Ghitti [1754-1833] «non essendovi verun prete nella famiglia» - ma in realtà in quanto navigava in una situazione economica precaria - chiede «di poter liberamente disporre del capitale predetto [1000 scudi, ndr.] costituente il fondo del patronato», come gli permetteva il decreto napoleonico del 25 aprile del 1810».

Delle altre cappellanie nella parrocchiale, delle sue opere d’arte e d’altro ci occuperemo nei prossimi giorni, anche perché c’è da raccontare ancora che – abbattuta l’antica parrocchiale – si decide di mantenerne il campanile, sebbene...

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