La toponomastica maronese – lettera S

Roberto Predali


San Bernardo, chiesa
La chiesa è a Collepiano.
L’edificio si ritrova nelle descrizioni del vescovo Domenico Bollani, che fu in terra sebina nel 1567. Sei anni più tardi, nel 1573, Cristoforo Pilati, incaricato dal Bollani, ne ordina la chiusura tramite una cancellata, e, nella successiva visita di monsignor Giorgio Celeri, nel 1578, le testimonianze raccontano di un edificio già chiuso da cancelli e con pareti imbiancate e dipinte. Più o meno quello che racconta anche Carlo Borromeo, cardinale e vescovo di Milano, durante la visita del marzo 1580. Nel 1593, le opere contenute dovevano già versare in uno stato di conservazione non ottimale, poiché, in occasione della visita pastorale del cardinale Gian Francesco Morosini ne viene richiesto il restauro.
La costruzione si presume risalga al XV-XVI secolo. Alla sua edificazione lavorarono prevalentemente maestranza lombarde.
Del XVI secolo sono le decorazioni plastiche in facciata e l’affresco, di autore ignoto e ormai poco leggibile, con la raffigurazione di San Bernardo.
All’inizio del XVII secolo, l’edificio è ricordato tra le chiese di Marone come la «Capella di s. Bernardo oratorio, dove molti si ridducono».
L’edificio fu edificato su una via di passaggio di notevole importanza: quella via Valleriana che, fin dall’epoca medievale, collegava Brescia alla Valle Camonica e che, fino alla metà dell’Ottocento, rappresentò l’unico collegamento stradale con quest’area.
Il fronte principale della Chiesa di San Bernardo - come lo vediamo adesso, leggermente sopraelevato rispetto alla copertura retrostante e coronato da un timpano triangolare privo di fregi, completamente intonacato e privo di zoccolo nella parte inferiore - si presenta slanciato e verticale, regolarmente scandito da quattro lesene lisce sormontate da capitelli multipli; si apre su una piccola piazza antistante, è rivolta al lago d’Iseo verso occidente.
Una scalinata in pietra raccorda questo spazio, delimitato da due cipressi, alla sottostante strada che conduce a Zone.
L’accesso alla navata, avviene attraverso quattro gradini in pietra di Sarnico che conducono a un bel portale riccamente decorato, realizzato sempre nel medesimo materiale. La decorazione è realizzata mediante volute vegetali presenti anche nella parte superiore del portale, dove, però, i tralci lapidei si quietano, lasciando il campo libero a una croce in pietra. Altri due accessi sono collocati sui lati lunghi dell’edificio. Anche in questo caso, i portali in pietra sono decorati, seppure in misura minore, con motivi floreali.
Sopra il portale, è visibile l’affresco ormai sbiadito raffigurante San Bernardo e, al di sopra, una finestra rettangolare che permette l’illuminazione dell’aula della chiesa. La struttura portante in muratura è affiancata dal campanile, anch’esso intonacato, e recante una decorazione floreale sbiadita nella parte superiore.
Il tetto, la cui copertura è realizzata in coppi, è a due falde.
L’interno è ad aula unica, di forma rettangolare, con copertura a botte.
Nella navata centrale, è visibile l’iscrizione, realizzata con intonaco con la frase «DOCTOR OPTIME / ECCLESIA E LUMEN / DIVE BERNARDE / ORA PRO POPULO».
Il presbiterio, cui si accede percorrendo alcuni ampi gradini di marmo, è coperto, come la navata, da una volta a botte.
L’aula centrale è scandita anch’essa da paraste interne. Nell’arco sovrastante sono incastonate le quattro finestre, due per lato. Sono queste aperture, oltre a quella posta nel fronte principale, a garantire la corretta illuminazione della navata.
Il presbiterio è illuminato da piccole aperture a semicerchio che s’innestano anch’esse nell’arco a tutto sesto della volta a botte. Tutte le lunette, sia quelle della navata che quelle del presbiterio, recano una decorazione ad affresco. A fianco del presbiterio, dirimpetto alla cella campanaria, è posta la piccola sagrestia a un piano unico, orientata verso sud.
La pavimentazione nel corpo principale è costituita da mattonelle in conglomerato a giunti alternati. Nella zona dell’altare si trovano mattonelle in cemento con motivi geometrici e nella sacrestia, se ne trovano esemplari bicolori a nido d’ape, realizzate nel medesimo materiale.
Nel corso del Seicento, un autore ignoto affresca la volta della navata con le Storie della vita di San Bernardo.
Nella parete destra della navata vi sono due tele di Pompeo Ghitti raffiguranti Santa Lucia e Santa Apollonia; nella parete sinistra vi è la tela Sant’Antonio di Padova riceve il Bambino dalle mani della Vergine di Domenico Voltolini (purtroppo in pessime condizioni) e una Decollazione di San Giovanni Battista.
Il progetto di decorazione della chiesa prosegue anche nel secolo successivo, con la realizzazione dell’altare maggiore. Il paliotto di marmo policromo è opera della bottega dei Callegari, i più noti scultori della Brescia dell’epoca, attivi in moltissimi centri della provincia.
Pala dell’altare maggiore è il dipinto di Ottavio Amigoni raffigurante la Madonna della Divina Grazia.
Agli inizi del Settecento, è più precisamente nel 1707, Francesco Castellazzi realizza la cornice in stucco della pala dell’altare maggiore.
La successiva tappa degna di nota è negli anni Settanta del secolo scorso. La chiesa è soggetta ad un restauro radicale per iniziativa del parroco Andrea Morandini.
§~ Bernard de Fontaine, abate di Clairvaux [in latino Bernardus Claravallensis, italianizzato in Bernardo di Chiaravalle; Fontaine-lès-Dijon, 1090 - Ville-sous-la-Ferté, 20 agosto 1153], è stato un monaco, abate e teologo francese dell’ordine cistercense, fondatore della celebre abbazia di Clairvaux e di altri monasteri.
È venerato come santo da Chiesa cattolica, Chiesa anglicana e Chiesa luterana. Canonizzato nel 1174 da papa Alessandro III nella cattedrale di Anagni, fu dichiarato dottore della Chiesa, da papa Pio VIII nel 1830. Nel 1953 papa Pio XII gli dedicò l’enciclica Doctor Mellifluus

San Bernardo, contrada di
Nel 1573, Bartolomeo Pasini, che abita a Collepiano ha «un horto cont:a de S:to Bernardo», probabilmente, nei pressi della piccola chiesa.

San Carlo, chiesa di
La minuscola chiesa - tra le case di Ariolo, in via Giulio Guerini - è stata benedetta nel 1953 (non vi è altare consacrato): si trova inserita tra le case ed è stata voluta da don Carlo Cristini che, ormai anziano, si era ritirato ad Ariolo per riposarsi. All’interno vi è una tela, di modesta fattura, che rappresenta San Carlo Borromeo, una statua della Madonna di Lourdes e una della Beata Capitanio da Lovere. Sulle pareti sono esposte delle piccole Via Crucis.
§~ Carlo Borromeo [Arona, 2 ottobre 1538 - Milano, 3 novembre 1584] è stato un arcivescovo cattolico e cardinale. È stato canonizzato nel 1610 da papa Paolo V.
San Carlo è considerato tra i massimi riformatori della chiesa cattolica nel XVI secolo assieme a sant’Ignazio di Loyola e a san Filippo Neri, guidando il movimento della Controriforma in contrapposizione alla riforma protestante. Tra le riforme di maggior importanza da lui proposte e accettate dal Concilio di Trento, vi fu l’istituzione dei seminari per la formazione dei presbiteri e la loro educazione.

San Giuseppe, santella
Edicola in Monte di Marone, costruita nel 1983.
§~ San Giuseppe, secondo il Nuovo Testamento, è lo sposo di Maria e il padre putativo di Gesù; è definito come uomo giusto. È venerato come santo dalla Chiesa cattolica e dalla Chiesa ortodossa. Il nome Giuseppe è la resa italiana dell’ebraico Yosef, attraverso il latino Iosephus. Fu dichiarato patrono della Chiesa cattolica dal beato Pio IX l’8 dicembre 1870.

San Martino, colla di, terreno
La Còla de san Martì è un terreno circa a metà della Rata de Roadìne, all’inizio di via Monte Marone, un tempo coltivato a orti.
Nel 1641 nel Beneficio parrocchiale vi è «Una pezza di terra come di sopra lamitiva, guastiva, et tavole nove aradora, et vidata nella contrata della via Cada detta la Colla di santo Martino […] di tavole nove».
§~ In dialetto bresciano, Còla = aiuola dell’orto, zolla.

San Pietro, cascina
Nell’estimo del 1785, alla partita di dei fratelli Bontempi del Bérgamasch si legge: «una pezza di terra montiva e prativa con sua parte di stalla, et fenile […] in contrada delle S. Pietro […] di piò due»; due terzi della stalla e metà del fienile sono di proprietà di Giovanni Giacomo e Giovanni Giacomo Bontempi loro cugini.
Nella mappa del 1808 è la cascina edificata nel mappale 1282. Nel 1842, con il mappale 1653, risulta edificata nel campo con il mappale 1566, a Est di Nai.
Nel catasto del 1898 e in quello attuale è il mappale 3811, tra la cascina Nei e la cascina Bontempo.
§~ Le titolazioni delle chiese e la toponomastica che fa riferimento ai santi Pietro e Paolo - ma anche ai santi guerrieri come san Martino - è sintomatica dell’influenza che i Benedettini, che avevano un convento sull’isola di San Paolo, ebbero sul lago d’Iseo.

San Pietro, colle
Colle (328 m. s.l.m.) che domina Marone, ben visibile a chi giunge da qualsiasi direzione, su cui sorge la chiesa dei Santi Pietro e Paolo.

San Rocco, contrada di
Il toponimo - che, forse, è nei pressi di Vesto - compare solo nel 1573: «Un altra arat:, vit:a, murarach:a, guast:a in cont:a di S:to Rocco a diman et s:a strata tav:e cinquanta».
§~ Rocco di Montpellier, universalmente noto come san Rocco [Montpellier, 1346/1350 - Voghera, notte tra il 15 e il 16 agosto 1376/1379], è stato un pellegrino e taumaturgo francese; è venerato come santo dalla Chiesa cattolica ed è patrono di numerose città e paesi.
È il santo più invocato, dal Medioevo in poi, come protettore dal terribile flagello della peste, e la sua popolarità è tuttora ampiamente diffusa. Il suo patronato si è progressivamente esteso al mondo contadino, agli animali, alle grandi catastrofi come i terremoti, alle epidemie e malattie gravissime.
È, con san Giovanni Nepomuceno, il protettore di Vesto.

Sant’Antonio, chiesa
Chiesetta di 26 mq che sorge lungo via Grumello, poco prima di giungere in Croce di Marone.
§~ Sant’Antonio abate, detto anche sant’Antonio il Grande, sant’Antonio d’Egitto, sant’Antonio del Fuoco, sant’Antonio del Deserto, sant’Antonio l’Anacoreta [Qumans, 251 circa - deserto della Tebaide, 17 gennaio 357], è stato un eremita egiziano, considerato il fondatore del monachesimo cristiano e il primo degli abati.
A lui si deve la costituzione in forma permanente di famiglie di monaci che sotto la guida di un padre spirituale, abbà, si consacrarono al servizio di Dio. La sua vita è stata tramandata dal suo discepolo Atanasio di Alessandria. È ricordato nel Calendario dei santi della Chiesa cattolica e da quello luterano il 17 gennaio. È protettore degli animali.

Santa Maria della Rota, contrada di
Il toponimo compare in tutti gli estimi: la località è posta nelle immediate vicinanze della chiesa e delle cascine omonime.
Vedi Madonna della Rota.

Santa Teresina di Lisieux, asilo nido
L’Asilo Nido Santa Teresina - nato dalla collaborazione fra la Società Cooperativa Sociale Onlus Campus e l’Amministrazione Comunale di Marone - è stato inaugurato nel settembre 2009 e accoglie bambini di età compresa tra 6 e 36 mesi, sia residenti a Marone che nei paesi limitrofi. È in via Matteotti.
§~ Thérèse Françoise Marie Martin [Alençon, 2 gennaio 1873 - Lisieux, 30 settembre 1897] è stata una monaca, mistica e drammaturga francese, meglio nota come santa Teresa di Gesù Bambino, nome con il quale è venerata dalla Chiesa cattolica. Carmelitana presso il monastero di Lisieux, è talora chiamata anche santa Teresa di Lisieux o santa Teresina, per distinguerla da Teresa d’Ávila. Suor Teresa di Gesù Bambino e del Volto Santo è il nome da lei assunto al momento della professione dei voti. La sua festa liturgica ricorre l’1 ottobre.

Santa Teresina di Lisieux, chiesa
È stata costruita - a Ponzano al limite Est dell’area denominata Ciodére e, prima, Ceredolo - nel decennio 1936-46. È dedicata a santa Teresa del Bambin Gesù quale «propiziatrice contro gli orrori della guerra» (iscrizione posta nella controfacciata). È una delle poche chiese dedicate a questa santa.
È in stile basilicale, su progetto dell’ingegner Vittorio Montini.
L’esterno è in pietra lavorata e stilata, con pronao, portichetto rivolto a lago e piccolo campanile a lago.
L’interno è a unica navata con soffitto in stile medioevale; l’abside è abbellita da un mosaico - del 1977, realizzato della Scuola Presson di Milano su cartoni di don Mino Trombini - che rappresenta la Santa.
Le pareti sono in parte affrescate dal Trainini, L’Annunciazione, in parte da Maria Luisa Fasani la Via Crucis: per la Via Crucis sono stati scelti come modelli gli abitanti della contrada di Ponzano.

Santi Giovanni Nepomuceno e Rocco, chiesa dei
Verso la fine del 1742 la Vicinia di Vesto - che raggruppa tutti i 24 capofamiglia: suoi membri sono 22 Guerini, un Cristini e un Sina - invia una supplica al cardinale Angelo Maria Querini per poter edificare una nuova chiesa sotto il titolo di San Giovanni Nepomuceno.
Le ragioni addotte dagli abitanti di Vesto per motivare la richiesta sono la lontananza della parrocchiale dalla frazione e l’impossibilità per malati e infermi di recarsi nel capoluogo «distante un miglio».; l’essere la chiesa di San Pietro in rovina e con strada impraticabile; la difficoltà, in alcuni periodi dell’anno, ad attraversare i torrenti Baravalle e Òpol.
Don Bartolomeo Ghitti, parroco di Marone, si oppone alla richiesta dei Vicini sostenendo che nelle immediate vicinanze della frazione vi è la chiesa di San Pietro e che il nuovo oratorio diverrebbe «di pregiudizio alla chiesa parrocchiale».
Il cardinale risponde, il 18 gennaio del 1743, incaricando il suo Vicario Generale, Germano Olmi, di visionare il luogo e valutare le ragioni opposte dei Vicini di Vesto e quelle del parroco Bartolomeo Ghitti.
«Si andò a Vesto, si salì a S. Pietro. Monsignor vicario guardò e osservò, scosse la testa. Quello che lo deve aver persuaso in favore di Vesto dev’essere stato che dalla frazione di San Pietro scorse la contrada di Collepiano ornata della sua bella chiesa per quanto vicina alla parrocchiale e senza che la via d’accesso fosse interrotta da torrenti. Nel ritorno rifece la stessa via sino al torrente descritto (il Baravalle) dove per una recente alluvione gli illustri visitatori dovettero attraversare un campo privato per tragittare poi un traballante ponticello».
Alla fine, in data 20 giugno 1743, il parere fu favorevole.
La richiesta del vescovo era che la piccola chiesa fosse dotata di una rendita di 5 scudi (35 lire) annui: la proposta fu accettata dalla Vicinia di Vesto nel luglio del 1743.
Il Decreto vescovile del 24 agosto 1743, firmato dal Vicario Germano Olmi e dal cancelliere Beccalossi, concede di fabbricare la chiesa.
Progettista e capomastro è, dal 1745 al 1759, Giovanni Cetti; dopo la sua morte la direzione dei lavori è presa dal figlio Pietro Antonio.
La chiesa è dedicata a San Giovanni Nepomuceno (dall’origine) e a San Rocco (dal 1935 circa). Oltre a questi due santi veniva anche festeggiata la Madonna Addolorata cui è dedicato il secondo altare a sinistra.
La facciata si presenta imponente: il portale con architrave e stipiti in pietra di Botticino reca incisa la dedicazione a Giovanni Nepomuceno; il portone è in legno di noce; la facciata è delimitata da lesene, da un gradino a metà altezza, con lesene superiori che terminano con capitelli corinzi.
Facciata e timpano contenevano affreschi ormai sbiaditi.
La chiesa è ad aula unica. Il presbiterio è più stretto e più basso del resto della chiesa: a destra c’è la sagrestia, a sinistra il campanile (con scala a chiocciola con gradini in pietra).
Nella pala dell’altare maggiore - opera di Bernardino Bono – è raffigurata la Vergine con il Bambino in vesti rosse ed azzurre, tra gli angeli; in basso a sinistra san Giovanni Nepomuceno in abiti da confessore e a destra san Rocco.
Sul lato sinistro del presbiterio è affrescato il presepio, a destra Cristo nell’orto del Getzemani.
Due sono gli altari laterali: a sinistra quello di Maria Addolorata e, a destra, quello di Maria Bambina.
Sopra la porta laterale vi è un pulpito del ‘700 con angelo portacrocifisso.
§~ Giovanni Nepomuceno [Nepomuk, prima del 1349 - Praga, 20 marzo 1393] è stato un presbitero boemo, canonico nella cattedrale di Praga e predicatore alla corte di re Venceslao, il quale lo fece uccidere per annegamento. Proclamato santo da papa Benedetto XIII nel 1729, è patrono della Boemia, dei confessori e di tutte le persone in pericolo di annegamento. La sua festa cade il 16 maggio.

Santi Pietro e Paolo, chiesa dei
Posta sul colle detto di san Pietro, è stata fin verso la metà del 1500 la parrocchiale di Marone.
Il 7 marzo 1390 il vescovo di Brescia (dal 1388 al 1397) Tommaso Visconti conferisce a «Pietro da Lodi la chiesa vacante di San Pietro di Pregasso con titolo di rettore con facoltà di celebrare i divini uffici, battezzare e amministrare gli altri sacramenti, concedendogli piena autorità». A questa altezza cronologica, la parrocchia di Marone è dunque, sostanzialmente e non solo formalmente, separata dalla pieve di Sale Marasino. Nel 1567 la chiesa di San Pietro, definita parrocchiale antica, «è abbandonata e semidiroccata poiché non molto distante ne fu edificata un’altra dal Comune e dal Rettore», Giacomo Zatti. Negli atti della visita Bollani risulta che l’attuale chiesa e la casa annessa sono in costruzione - «della chiesa iniziata sia portata a termine l’edificazione»: inoltre, sono in realizzazione «muri per altre costruzioni”, una stanza per il rettore e una per il romito - ed è ordinato che la vecchia chiesa «sia chiusa in modo da escludere l’accesso alle parti in rovina», ma si indica anche di restaurarla. Da una nota a margine dello stesso documento, scritta nel 1578, risulta che - sia il rettore di Marone, Giacomo Clerici, che il Comune, nella persona del console Antonio Ghitti - ritengono la ristrutturazione impossibile, per cui si deve procedere alla sua demolizione, ma che le sue macerie - e le risorse economiche che si volevano usare per il restauro - contribuiranno al cantiere di quella nuova. In sintesi, la costruzione dell’attuale chiesa dei Santi Pietro e Paolo è iniziata verso il 1578, usando parte delle macerie della precedente chiesa; per pochi anni sul colle di San Pietro vi furono due chiese, quella diroccata e quella in costruzione, per la quale si usano le pietre dell’antica. Per oltre un ventennio dell’antica chiesa rimase il campanile, collocato lontano dalla nuova chiesa: il nuovo campanile è iniziato dopo il 1599 e concluso nel 1605, come attestato dalle visite pastorali e da un’iscrizione.
Il portale di ingresso ha fattura rettangolare e sopra di esso è posta una lunetta affrescata con una scena con Cristo che salva Pietro dalle acque; l’affresco è a firma Casari, del 1946, forse pesante ridipintura di un precedente affresco seicentesco. L’interno è a unica navata. Il soffitto presenta le travature lignee della struttura originale, recuperate dopo un importante intervento di ripristino. Lungo la parete destra sono disposti due altari, uno in scagliola e l’altro di recente fattura, con nicchie - la cui struttura è chiaramente visibile anche all’esterno - rispettivamente con le statue lignee di San Fermo e della Vergine col Bimbo, quest’ultima opera del 1930 di uno scultore della Val Gardena. Tra i due altari è collocato un pulpito ligneo settecentesco. Nella controfacciata vi è la tela San Filippo Neri davanti all’altare di anonimo. Sul fondo dell’aula un arco acuto introduce alla zona absidale: la parete soprastante è decorata con una serie di affreschi, suddivisi mediante cornici dipinte, che narrano le vicende significative di alcuni tra i papi che più hanno inciso sulla storia del cristianesimo. L’anno di realizzazione è il 1946 e gli autori sono G. Casari e il cremonese E. Piroli. La parete del fondo absidale ospita la pala d’altare, raffigurante La Vergine tra gli angeli, con San Martino vescovo e i Santi Pietro e Paolo, opera di Francesco Giugno. La parete di sinistra ospita La Trinità in gloria di Anonimo della prima meta XVII secolo (Ottavio Amigoni?) e La Vergine col Bambino in gloria, i santi Francesco, Fermo, Onofrio e il donatore di Antonio Gandino. Da segnalare la presenza del cosiddetto Sepolcro, al lato sud prospiciente il piccolo giardino che conduce alla casa parrocchiale antica, impreziosito da un portichetto retto da colonnine in pietra di Sarnico, concluse da capitelli che richiamano foglie stilizzate. All’interno è ubicato il gruppo ligneo della Pietà, di pregevole fattura, formato dalla Madonna, una pia donna (forse Maria di Cleofa) e dal Cristo morto.
§~ La dedicazione ai due santi è indicativa dell’influenza dei monaci benedettini nell’area sebina.

Scadicle, contrada
Contrada e terreno a Collepiano.
Nel 1573 si trova Un’altra [pezza di terra] arad:*, vidata, boschiva, montiva, corniva, murachiva cont:a di Scadichi […] pio uno tavole cinquanta; nel 1641 vi sono tre appezzamenti in questa contrada e nel 1785 Geronimo Maturis ha un appezzamento di ½ piò arativa, vitata, con ciglioni e in parte improduttiva in «contrada di Scadecle sopra Calpiano». La medesima contrada è detta, in altri documenti, anche contrada di Pavone.
§~ In latino medievale, Scaducus = «si dice di cosa di cui giunge l’offerta all’incanto», [Du Cange], forse riferito all’affitto dei terreni.
Vedi Pavone.

Scaletta, bosco
Parte Nord Est del bosco - nel mappale 1093 -, lambito da ruscello Sèsser e dalla Valle di Inzino.
§~ In dialetto bresciano, Scalèta = piccola scala. Il terreno, in 150 m, ha un dislivello di 200 m (da quota 850 a 1250 m).

Scapla alta, Scàple, terreno
Terreno della cascina Carai.
Il toponimo si trova in tutti gli estimi, dal 1573 in poi, sempre collocato nella zona di Vesto.
Terreno in forte pendio, di difficile accesso, formato da lastre di pietra nelle cui spaccature crescono alcuni cespugli di erba resistenti alla siccità. Fino agli anni ‘60 quest’erba era tagliata con la falce, rànda, e il falcetto, fiòca. Data l’esposizione al sole vi crescono spontanei i fichi d’india, grazie al particolare microclima.
§~ In latino Scabies, ei = scabrosità, asprezza, ruvidezza, rugosità; nel latino medievale, Scabia = scabies, [Du Cange]. Dalla conformazione del terreno.

Scardelle, contrada di
Il toponimo - riferito a un campo di Collepiano vicino alla località Castello - si trova solo nel 1573: «Un’altra […] arad:a, prativa, murachiva, cont:a de Scardelle […] à mezo di Castel tavole vinti sei».
§~ In latino medievale, Scardus = avaro, parco, [Du Cange]. Campo poco produttivo?

Schéna, Canal dela, bosco
È un pendio roccioso e boschivo nel mappale 1248, tra la Punta Val Fellera a Nord, Val Fellera a Est e il Boschèt a Est.
§~ In dialetto bresciano, Schéna = schiena, dorso. In questo caso Canàl ha il significato di costa.

Scorserone, contrada del
Scorserone, contrada della Breda, detta, terreno
Il toponimo compare nel 1573 e nel 1641 come: «Una pezza di terra arradora, vidata, olivata, et parte lamitiva nella contrata di Scorzerone». Nel 1785 è indicato un terreno in contrada della Breda, detto appunto Scorserone, che confina a Ovest con la strada. Nel 1573 è detta anche Scorzarol.
È uno dei casi in cui le contrade si fondono: a monte della strada non sarebbe Breda, ma Tèrmen, Baravalle, Foppe e Rodèl.
§~ In dialetto bresciano, Scorsà = sbucciare, scorticare, scortecciare: Scorsaröl sarebbe colui che scorteccia (a Vello, ma non risulta a Marone, si scortecciavano i tigli per produrre corde).

Sedesella, contrada di
Altro nome dell’attuale via 24 Maggio.
Il toponimo si ritrova in tutti i documenti e nella cartografia storica.
§~ In latino, Sedes = ha vari significati che rimandano a luogo.
In latino medievale Sedes = tra i vari significati, luogo idoneo a costruirvi un edificio [Du Cange].
Vedi Adesella.

Seradina, strada pubblica detta
Nelle carte catastali napoleonica e austriaca la via - che da Vesto, attraversando Remina, porta a Sale Marasino - è denominata Strada pubblica detta Seradina.
§~ In dialetto bresciano, Serét = cerreto, bosco di cerri (Quercus cerris L.), alberi a foglie caduche appartenente alla famiglia delle Fagaceae. «Cerrus = cerro ghiandifero. In dialetto è Seradèl, derivato da un supposto Cerretellum. Poiché esiste il collettivo Serét cosi dovette esservi un Sér derivato da Cerrus» [Gnaga].
In latino medievale, Cerritum, Cerretum = silva, ex fagis […] Cerreto, ex Cerro, fagus, vel quercus = bosco di faggi o di querce, [Du Cange].

Seradìne, le, bosco
Seradìne è un bosco a Ovest di Vesto, parte del mappale 1524.

Seredolo, Serédol, contrada
È la zona tra Ariolo e Pregasso attraversata dalla via omonima.
Serédol era, anche, la contrada di Ponzano posta nella località oggi detta Ciodére, da cui una famiglia Ghitti di Ponzano ha preso il soprannome.

Seredolo, Serédol, detta, strada comunale (1808)
Seredolo o dei Ronchi, detta di, strada comunale (1842)
È il nome antico della via che collegava Ariolo a Pregasso, oggi via Garibaldi.
§~ Vedi Seradina.
Vedi anche Ceredol, Serédol e via Garibaldi.

Seredolo, Serédol, santella
Probabilmente la santella è stata costruita, dopo il 1800, come ricordo e come voto propiziatorio per i morti lì sepolti o per i defunti in generale.
I passanti si toglievano il cappello e recitavano l’Ave Maria in onore della Madonna e Requiem ætemum per i propri morti.
È stata restaurata nel luglio 1996 da Elena Gregoris, a spese della famiglia Camplani. È stato un lavoro di fissaggio dell’affresco, senza aggiungere nulla di nuovo per non modificare l’affresco.

Seriol, contrada del
Il lemma seriola compare in svariati documenti, mentre il toponimo vi è solo nel 1573: «Un’altra [pezza di terra] arad:a, vidata, montiva cont:a del Seriol […] con una staletta tavole otto».
§~ In dialetto bresciano, Sergiöla, Sargiöla = gora, canale di derivazione. Data l’abbondanza, a Marone, di corsi d’acqua, la località poteva essere ovunque.
Vedi anche Dugale.

Sèssa, la, prato
È un poggio a prato posto sotto il colle di san Pietro, verso Vesto; vi è il sedime di alcune murature. è la parte Nord-Ovest del mappale 1965.
§~ In latino medievale, Sessa, Sesses = sedes = sedia, sede, abitazione, luogo, voce dai molti significati che includono l’idea di posto, [Du Cange].

Sesser, Sèsser, cascina
Pascolo e cascina a Sud di Croce di Marone e del Dòs Gargà.
Nel 1573, Giovanni Cassia possiede «La quarta parte di una pezza di terra […] cont:a de Ceser lontana da Marone cinque miglia […] pio duoi tavole cinquanta»; il toponimo è scritto anche Seser.
Nel 1641 Stefano Guerini è proprietario di «Una pezza di terra montiva, prattiva, guastiva, et corniva in contrada di Ceser […] di pio due. Una staletta et un fenile cioè la mittà in detta pezza di terra».
§~ Vedi Sèssa.

Sestola, Sèstola, cascina
La cascina è posta lungo il percorso del canale Sèstola. Una famiglia Ghitti è detta dei Pagi dela Sèstola.

Sèstola, sorgente
Sèstola, vaso
Quèl dela Sèstola, grotta della sorgente
Dati catastali:
143 Lo-Bs Quèl dela Sèstola
Comune: Marone; Località: Val Verlino; Zona 9b
Tavoletta I.G.M. 34 III S.E. Gardone V.T. (ed. 1913).
Longitudine 2° 21’ 0” W; Latitudine 45° 44’ 46” N.
Quota: m 360 s.l.m.
Estensione massima: 34 metri; sviluppo planimetrico: 52 metri
Dislivello: - 2,5 m

Nel mese di Marzo del 1939 sono rilevati alcuni parametri fisici della sorgente:
Temperatura imbocco ore 14,00 = 10°
Temperatura interna ore 16 = 10°
Temperatura acqua all’imbocco = 10,6°
Temperatura acqua interna = 10,3°
pH esterno = 7,25
pH interno = 7,4
Portata della sorgente = 200 litri il secondo.
Le prime esplorazioni al Quel dela Sèstola risalgono al 1932, anno in cui Allegretti eseguì la stesura topografica della grotta. In seguito la cavità fu meta di rare visite compiute per lo più a scopo faunistico, dato il carattere di biotopo della zona idrica antistante.
Una sorgente così importante non poteva non suscitare interessi più specificamente esplorativi: nel 1982 un gruppo di speleologi di Lovere riesce a forzare una strettoia al soffitto dell’ingresso della cavità. La successiva esplorazione, compiuta in collaborazione con il Gruppo Grotte Brescia Corrado Allegretti portava alla scoperta di alcune decine di metri di cavità particolarmente interessanti, ma chiudevano ogni possibilità di prosecuzione ulteriore.
La sorgente Sèstola fa parte del bacino imbrifero del torrente Bagnadore e quindi del fiume Oglio. Il bacino di raccolta del torrente, di forma semicircolare, ed una parte del corso d’acqua si trovano in Comune di Zone, mentre solo 1,50 Km circa, fino allo sbocco nel lago d’Iseo, si sviluppa in Comune di Marone. Nel bacino idrografico si notano rocce dolomitiche carsificate, materiale detritico, formazioni arenacee, rocce marnose e argillitiche, morene, alluvioni. Il bacino del Bagnadore si estende per circa 18,50 Kmq dall’altitudine massima di 1948 m s.l.m. (monte Guglielmo) alla quota 185,16 m s.l.m. (zero idrometrico del Sebino), mentre l’asta torrentizia misura 9,00 Km circa.
La sorgente Sèstola trae origine dall’infiltrazione, in rocce fratturate, di acque piovane che poi si raccolgono in cavità carsiche scavate dalle stesse acque, grazie al forte potere di solubilizzazione sui carbonati.
Nonostante qualche tentativo lodevole di ispezione nel 1932, 1939 e 1982, permane tuttora una certa aria misteriosa circa la sua provenienza, i percorsi, i sifoni, ecc.
Per la sua portata si colloca tra le più imponenti risorgenze della Provincia di Brescia.
Sono state trovate le seguenti portate medie:
Qm = 0,417 m3/s (Salmoiraghi 1885);
Qm = 0,200 m3/s (1939);
Qm = 0,150 m3/s (Giarratana - Commentari Ateneo, 1957);
Qm = 0,250 m3/s (Ufficio Tecnico comune di Marone - 1980/82).
Il canale della Sèstola è la più importante struttura idraulica artificiale del Comune di Marone e, sicuramente, tra le più notevoli della Comunità Montana del Sebino Bresciano.
Dall’opera di presa situata a ridosso della sorgente Sèstola, si snoda il canale artificiale a pelo libero, della lunghezza di 750 m circa, per il primo tratto intubato di recente (diametro 50 cm circa) e per la restante parte a sezione rettangolare a cielo aperto (0,60 mq circa).
La portata media del canale Sèstola, rilevata nell’ottobre 1994 è di 0,300 mc/s circa. Inoltre, se si considerasse il canale in buono stato di conservazione e di efficienza, la portata potrebbe raggiungere un valore quasi doppio. Evidentemente i parametri sopra riportati fanno riferimento piuttosto alla media dei dati minimi osservati, e ciò a favore di una derivazione garantita con continuità tutto l’anno.
In via Montenero (Mulini di Zone) l’acqua derivata dal canale è utilizzata nella produzione di energia attraverso le cosiddette ruote idrauliche. Sono per lo più ruote colpite al vertice o ruote per di sopra, con getto perpendicolare all’asse e rotazione oraria (la classica ruota da mulino).
Sono le ruote idrauliche più efficienti, con rendimenti dell’ordine del 65%, con minimo bisogno di manutenzione e grande adattabilità alla variazione degli afflussi. Tuttavia hanno lo svantaggio della mole notevole e della bassa velocità.
Il sistema idraulico, adottato per gli opifici del canale della Sèstola, è oltremodo funzionale, con ridotti sprechi di portata e di salti geodetici, concatenato da tratti di canaletta di carico, troppo pieno, by-pass, canaletta di scarico che a sua volta si trasforma in carico per la ruota a valle.
A Piazze il canale della Sèstola riceve, dopo essere stato alimentato dal torrente Òpol, il vaso Ariolo che è impiegato solo per pochi opifici.
Infine nel tratto finale con una portata più alta, il canale Sèstola-Ariolo sfrutta il rimanente salto esiguo per servire ancora alcuni opifici prima dello sbocco nel lago di Iseo in località Porto Vecchio.
Una relazione del 3/2/1868 depositata presso l’Archivio Storico del Comune di Marone, censiva 24 macine da mulino, di cui 3 appartenenti al Comune di Zone.
Da un rilievo effettuato all’inizio del ‘900, mostra un deciso sviluppo di ruote idrauliche per forza motrice e di turbine per energia elettrica (fin dal 1900, Marone possiede un impianto per la pubblica illuminazione), con abbandono quasi totale delle macine da mulino.
Dal punto di vista urbanistico, il canale Sèstola-vaso Ariolo ha concorso a sviluppare il collegamento edilizio (fabbricati industriali e civili) tra gli antichi nuclei abitativi delle frazioni, situate sui terreni rocciosi ricoperti da depositi morenici e la fascia di più recente insediamento di Marone capoluogo, posta sui conoidi alluvionali dei torrenti Bagnadore e Òpol.
Oltre ad assolvere la funzione di luogo di lavoro e di mezzo di produzione, il canale Sèstola-Ariolo ha svolto egregiamente un servizio primario di acquedotto e fognatura per gli abitanti delle zone confinanti.

La leggenda della Sèstola
Molti anni fa, si racconta che a Marone, chiusa nel mezzo di due piccole vallate, c’era un ruscello chiamato «Sèstola».
I contadini delle vicinanze raccontavano a tutta la gente che la sorgente della Sèstola era collegata per mezzo di un canale sotterraneo al lago. Ma la maggior parte della popolazione si beffava di quelle dicerie e non ci badava . Ora accadde che sulla costa si scatenò un’improvvisa tempesta. Il cielo si oscurò, l’acqua del lago con grandi e potenti flutti si impadronì della riva e delle case dei pescatori. Tutta la notte durò.
Al mattino quando nel cielo apparve un sole pallido, un contadino sedeva preoccupato sul sasso dal quale sgorga la sorgente della Sestola.
A un tratto sentì un gorgoglio venire dal basso, quasi da sottoterra.
Tese l’orecchio, fece per smuovere dei sassi. Quasi incredulo di quanto stava per accadere, vide davanti a sé l’acqua che fluttuava, ma c’era qualcosa che ostruiva il passaggio.
Mosse un altro sasso e vide comparire davanti a sé nientemeno che un remo, una culla per neonato, e delle reti da pesca con imprigionati dei pesci lacustri.
Da quel giorno, molta gente credette a quella storia.
§~ In latino, Fistula = tubo, canna.
Nell’estimo del 1573 si parla della contrada della Fistola (la parola compare più volte in diverse varianti, Fistola, Fertola, Festola), e denomina, quindi, una zona piuttosto ampia, che ha al proprio interno un dugale.
In dialetto bresciano dugàl è propriamente «canale fatto attraverso a’ campi per raccorre l’acqua piovana», ma in generale significa canale per l’acqua. Nell’estimo del 1641 il canale è chiamato Festola e Testola. Innumerevoli, nei due estimi, i riferimenti al dugale, nel 1573 detto anche seriola. Nel 1785 è detta contrada della Festola.
L’etimologia latina del nome è compatibile con l’esistenza a Marone, nel I secolo d. C., della grande villa romana, che non era solo abitazione ma, anche, unità produttiva: la copiosa sorgente non può essere stata ignorata dagli abitanti di allora.
La pronuncia della F come S aspirata è frequente intorno al lago d’Iseo.

Siaroli 1, cascina
Siaroli, contrada
La località e la cascina erano in Monte di Marone; sono scomparse con l’avanzata della cava di Ponzano.
§~ In dialetto bresciano, Seriöla = gora, canale per l’acqua.

Siaroli 2, cascina
È il nome della cascina Guine, a Est di Vesto, nella mappa del 1842.

Siaroli, Searöi, via
Via scomparsa con l’avanzata della cava di Ponzano: dall’inizio di via Montemarone giungeva quasi al Dossello, passando per l’omonima cascina.

Siera, Siere, cascina
Era la cascina di Vesto posta di fronte e a valle della Ca dei Bèlardì.
Nel 1808 era il mappale 597; oggi è incorporata nel mappale 2982.
Oggi la zona è completamente urbanizzata.
§~ Etimo ignoto.

Sile, contrada di
Campo sopra Ponzano alla destra idrografica del Bagnadore; zona scomparsa come la via dei Bò.
Nel 1573 Bernardino Gigola possiede «Una pezza di terra prativa, boschiva, corniva, cont:a de Sile, à diman dugal, à sera valle pio uno». Nel 1641 la proprietà del campo è passata a Silvestro Gigola, figlio di Bernardino: «Un’altra pezza di terra aradora, et parte lamitiva, et corniva in contrada di Sille, confina à mattina il dugale […] à sera la valle di piò uno».
Nel 1785 in contrada Silè, Antonio Zeni possiede due appezzamenti detti Silè, che confinano uno, «a mattina il dugale, a sera la Valle» e l’altro «a mattina il dugale, a sera la Strada de Bovi», i due campi misurano complessivamente 1 piò.
§~ [?] In latino medievale Silæ = elmo di cuoio, forse a indicare un colle?; Silanus = cloaca, fogna, [Du Cange]. Più probabile da Silanus.
Vedi via dei Bò.

Silla, contrada di
Silla, contrada di Pregasso detta, terreno
Nel 1641 Giovanni Cressini è propietario di «Una pezza di terra aradora, prattiva, et guastiva detta Silla, in contrada di Pregazzo, di piò due tavole cinquanta». Il toponimo non compare in altri documenti.
§~ Vedi Sile.

Silter, el, cascina
Nome attuale della cascina che nelle mappe storiche è detta Vag, posta a Ovest della Forcella di Gasso e della cascina Gasso. Oggi è il mappale 1263.
§~ In dialetto bresciano, Sìlter = volta, grotta naturale; struttura a superficie curva che copre un ambiente o un edificio; dal presunto latino Ciltrum = arco.

Sinel, Sinèl, strada pubblica detta di
Sinel, contrada del
Sinel, valle del
Il toponimo - la località è a Nord di Marone, dopo le prime due gallerie - compare fin dal 1573: «Una pezza di terra olivata, et redeva cont:a del Sinel, […] à sera il lago».
La strada pubblica detta di Sinel è stata, fin verso il 1850, l’unica via di accesso da Marone, percorribile solo a piedi, a Vello. È indicata solo nella mappa del 1808 e partiva dalla cascina di Roàdine per scendere - pericolosamente, era poco più di un sentiero - lungo la valle di Sinèl.
§~ [?] In dialetto bresciano, Si = maiale; Sinèl ne sarebbe il diminutivo.

Solivo, cascina
La cascina Solivo è posta a Nord-Est di Croce di Marone: il fabbricato è proprietà del Comune di Marone.
Oggi è il mappale 1655
§~ In dialetto bresciano, Sulìf = luogo soleggiato; si contrappone a Vach = luogo che riceve poco sole.

Sopra Ponzano sive del Follo
Attuale zona (sive = ovvero) detta Mulini di Zone lungo via Montenero.
Vedi contrada del Follo e Mulini di Zone.

Sori, contrada di
La contrada è citata solo nel 1573, anche nelle varianti Sora e Sorino.
§~ In latino medievale, Sora = sorbus = sorbo degli uccellatori.

Sotto
È il termine generico, usato negli estimi, che indica la posizione di un terreno, quando, spesso, non esiste una denominazione precisa.
Così esistono le contrade di Sotto li Rivi, di Sotto Corni (in cui vi è un appezzamento detto Sotto Corne), Sotto delle Colle sotto Vesto, Sotto Gambalone, Sotto il Monte Gulem, Sotto la Loza, Sotto la Rocha, Sotto le Fontane, Sotto le Rive, Sotto Piazza, Sotto Ronco, e Sotto Vest, etc.
Sotto Ponzano, contrada
Negli estimi indica le zone tra Ponzano e Piazze dette anche contrada di Panei o di Bastiano e Polmagno.
Vedi contrada di Panei o di Bastiano e Polmagno.

Sotto Rocca, contrada di
Nel 1573 Antonio Zeni possiede «Un’altra [pezza di terra] prativa, castegniva, olivata, et corniva cont:a de Sotto Rocca […] pio duoi». Nei successivi documenti è prevalentemente descritta come «terra montiva, boschiva, corniva, guastiva». Nella contrada vi sono terreni omonimi.
È l’attuale Bósch del Gàt.
§~ La località è a Ovest, sotto, la rocca di San Pietro.

Sotto Rocca, strada comunale
Comprende, nella mappa del 1808, le attuali via Alagi, via Vesto e confluisce in via Caraglio.
Chiamata ancora via Sotto Rocca nel 1965, nel tratto tra il Valzello e Vesto, è l’attuale via Vesto.

Spezzaroli, contrada di
Con questo nome sono chiamati una contrada e un terreno a Collepiano, detti anche Sperzarle e Spezzaroli nel 1641 - non sono citati nel 1573 - e Spessaroli nel 1785.
Nel 1641 Geronimo Ghitti possiede «Un’altra pezza di terra aradora, vidata in contrada di Calpiano, chiamata le Sperzarle, […] di tavole novanta cinque» e Antonio Gigola ha un campo di 70 tavole in contrada di Spezzaroli.
§~ A Zone Spesarina = bosco fitto.
In latino Spissus = spesso, folto, fitto.

Spino, cascina
Cascina a Ovest del Dosso Fontanazzo e delle cascine omonime.
§~ In dialetto bresciano Spì = spino, rovo.

Stai, bosco
È una porzione di bosco - che occupa, circa, i mappali1641 e 4208 - a Nord di Ortighéra e a Est dei Fónc' e del Vallone dei Funghi.
§~ Stai, in dialetto bresciano, è il plurale di «Stal, Stala = Stallaggio, albergo delle bestie, stalla» [Melchiori]; dal latino medievale, Stalla = Stabulum = stalla.

Stala de Gamballo, contrada de
Nel 1573 «Filipo di Chrisini citadino bergomascho et bresano chi habitamo in Riva da Solto» possedeva una «peza de tera in la chontrata de la Stala de Gamballo cum la stala del maser aradora vidata olivata prativa guastiva lumetiva murachiva guastiva pendente […] de pio 2 tavoli 90»: è un terreno con cascina in contrada di Gambalone, tra Pregasso e l’Òpol.
§~ Vedi Gambalone.

Stallino, cascina
Stallino è la cascina posta nei pressi della Strada comunale del Monte, tra le cascine Nei (a Ovest) e Rai (a Est).
È il mappale 1269 nel 1808 e nel 1842; oggi è il mappale 1636.
§~ Diminutivo di Stala.

Stalù, cascina
È una cascina in Montemarone; dalla fine dell’Ottocento è detta Stalù dei Vismara, poiché era divenuta proprietà della famiglia di industriali serici. Nel 1808 è il mappale 274, senza nome; nel 1842 è detto Stallone ed è all’interno del mappale 739; nel 1898 è detto Stallone ed è il mappale 49, all’interno del mappale 739; oggi è il mappale 5104.
§~ Accrescitivo di Stala = stalla.

Stalù de Fontanas, cascina
È una cascina a Nord del Dosso Fontanazzo. Non compare nel 1808, nel 1842 e nel 1898; oggi è il mappale 4850
§~ Vedi Fontanazzo, Fontanas.

Strada, contrada della
§~ Vedi Stradone, stradù.

Stradone, stradù
Comprendeva, nella mappa del 1808, le attuali via Roma e parte di via Battista Cristini.
§~ Stradone, [accrescitivo di strada] = larga strada alberata, specie alla periferia d’una città o anche tra due centri vicini. Lo Stradone non era solamente la via principale di collegamento con i paesi limitrofi ma, nel capoluogo, era il luogo della socializzazione. Fino alla fine degli anni ’50 - quando il traffico automobilistico era limitato - vi erano oltre 50 negozi.

Stretta, contrada della
Zona nei pressi di Collepiano, in cui vi è un campo omonimo nel 1641 e nel 1785.
Nel 1641 Cristoforo Gigola possiede una «pezza di terra arradora, vidata, et parte lamitiva in contrada della Stretta, […] di tavole dodeci» e Matteo Gigola ha «un’altra pezza si terra aradora, vidata, et parte corniva in detta contrada [di Collepiano], chiamata la Stretta […] di tavole vinti tre».
Nel 1785 l’appezzamento mantiene lo stesso toponimo ed è sempre di proprietà Gigola.
§~ Il nome deriva dalla forma del terreno.

Strinade, le, bosco e pendici rocciose
Bosco a Ovest della Val Cura, a Nord di Mazai e a Sud della Punta Calarusso, mappali 3180 e 1208.
§~ In dialetto bresciano, Strinàt = bruciato.

Surt, contrada
È un terreno a uliveto, oggi edificato in parte, a monte di via Sotto Rocca, mappale 3323.
§~ In latino medievale, Sortes = terreno incolto.
Più probabilmente dal latino Sors = la terra toccata al barbaro come provento della distribuzione dei fondi per sorteggio; nel medioevo le Sortes erano terreni, prima collettivi e poi comunali, divisi tra i “Vicini”, i privati cittadini residenti.