La toponomastica maronese – lettera G
Roberto Predali
Gagna, contrada della
Il toponimo compare solo nel 1573, quando i fratelli Domenico e Giacomo Gigola possiedono, rispettivamente: «Un’altra [pezza di terra] arad:a, vid:a, olivata, cont:a della Gagna […] tavole vinti una» e «Un’altra uts:a cont:a della Gagna […] tavole quaranta sei».
§~ Le forme latine medievali rilevate dal Du Cange sono: Gagnagium, Wagnagium, Wannagium = pascoli, colture, (in francese antico = Gaignage = Peculium agricolae.
Anche Gaagnagium, Ganagium, Wainagium, Gainagium = prodotti della terra (Agri fructus) e tempo della mietitura; Vaanagium, Vaanaige = Fructus ex agro culto = prodotti della terra.
Gematicum = terra coltivata con i suoi proventi.
Ancora in Du Cange, Gainaticum = Praedium rusticum = proprietà rurale, con rimando a Gaynagium.
I significati di Gagnagium sono:
1. colture della terra, coltivazione;
2. utili del podere;
3. terre coltivate; le terre arabili;
4. profitti dell’attività agricola;
5. Tempus wannagii: stagione agricola, il tempo della mietitura.
Forse, molto più semplicemente, è una variante di Càgna, come in Valsabbia e in Valcamonica.
Gaia, prato e bosco
Prato e bosco a Nord di Pergarone e tra il Boschèt a Ovest e i Caffei a Est (mappali 1560, soprattutto bosco, e 4099, in gran parte a prato).
§~ Nel 1500 e nel 1600 una famiglia Gaia ha possedimenti a Marone.
In latino medievale, Gaiagium = pegno o multa pecuniaria; Gaianum = rendita; Gayare = pignori capere = riscuotere un impegno di pagamento, [Du Cange]
Gallo, contrada del
Fino alla fine del 1700 era la contrada che occupava l’area dell’attuale Municipio.
Nel 1573 è denominata contrada del Gal, del Gali e del Gallo; nel 1641 è chiamata contrada del Gal, del Gallino, del Gallo e di Gallo. Nel 1785 è detta contrada del Gallo.
§~ Le famiglie Cristini detta del Gallo, - oggi dei Gài e dei Galì - che anticamente vi risiedevano, derivano il soprannome dal toponimo.
Gambalone, contrada di
È chiamata, nel 1573, contrada di Gambalo e Gambarei e nei documenti posteriori Gambalone.
Nel 1573 si trova anche contrada de la Stala de Gamballo (vedi).
È la zona pianeggiante tra Pregasso e l’Òpol, verso Collepiano.
Le leggende di Gambalone
C’era una volta una donna, che aveva per marito un uomo molto superbo e amante dell’oro. Questa donna durante un combattimento svoltosi parecchi anni prima, aveva perso la gamba destra.
Al suo posto mise una magnifica gamba d’oro circondata di rubini, smeraldi e zaffiri. Il marito non pensava altro che ad impadronirsi del prezioso tesoro.
La moglie morì, e nel suo testamento lasciò scritto di seppellirla con la gamba d’oro.
Il marito naturalmente fece finta di niente e si tenne la gamba. Di notte, però, ebbe un brutto incubo. Gli, parve di udire: «Pietro, Pietro dammi la mia gamba! ». Pietro meravigliato disse: «No, non può essere la voce di mia moglie, lei è morta! Forse mi sarò sbagliato».
E s’addormentò. Lo stesso avvenne la seconda notte, così anche la terza. La quarta Pietro disse: «Basta, voglio provare ad andare al cimitero alla tomba di mia moglie, lo so che tutto questo è una messa in scena per farmi paura! ».
Arrivato al cimitero, Pietro si avvicinò alla tomba di sua moglie, un profondo silenzio regnava; poi: «Pietro, Pietro dammi la mia gamba!».
Pietro, spaventato, corse via e lungo tutta la strada sentì la stessa voce. Arrivò a casa, prese la gamba e tornò al cimitero; un diamante, con il suo abbagliante splendore, lo accecò, la gamba sprofondò nella tomba.
A metà strada tra Pregasso e Collepiano c’è una casa di contadini che si chiama «Gambalone».
Leggenda o realtà, alcuni vecchi raccontano ancora il perché di questo nome. Come si sa, prima del Concilio di Trento, gli spiriti delle anime vagavano erranti di notte tra il suono dell’Ave Maria della sera a quello dell’alba, poi di giorno rientravano nel cimitero per riprendere nuovamente le loro scorribande ai primi rintocchi dell’Ave della sera.
Non avendo altri mezzi di riscaldamento, coloro che avevano una stalla si riunivano per riscaldarsi e per trascorrervi le lunghe serate.
Una sera, alcuni giovanotti, in vena di scherzare, sentirono dei passi e degli strani rumori e senza uscire, chiesero chi passava; fu loro risposto «siamo dei cacciatori», e quelli continuarono dicendo: «portate anche a noi un po’ della vostra caccia».
A una certa ora della notte, andarono a letto, ma al mattino, quando i padroni di casa si alzarono, trovarono appesa alla porta, verso la strada, una grossa gamba.
Si ricordarono allora del fatto di quegli strani cacciatori della sera prima. Allora andarono dal Parroco a raccontare la cosa.
La sera il Parroco si recò in quella stalla, dove erano radunate le stesse persone, accese due candele nella mangiatoia e attese, con in mano un grosso libro di preghiere, che si udissero ancora le voci e i passi della sera precedente.
A mezzanotte eccoli arrivare.
Allora il Parroco ad alta voce disse: «Se siete cacciatori, venite a prendere la vostra caccia». E intanto tutti recitavano preghiere, tremavano e sudavano dalla paura.
Si udirono fuori dalla porta lamenti, urla e sibili e dopo un po’ si fece silenzio.
Trascorsa tutta la notte in quella stalla, il mattino i più coraggiosi uscirono, e sulla porta non trovarono più quel grosso «gambalone».
Un giorno un uomo stava facendo la minestra nella sua capanna, nei pressi di Collepiano. A un tratto sentì una voce che diceva: «Guarda che butto». E lui rispose: «Butta pure ma non nella mia minestra».
E sempre così fin quando alla terza replica sentì un tonfo e vide cadere nella sua minestra una gamba.
Spaventato corse a raccontare tutto al parroco di Marone e lui rispose: «Questa notte, quando suonerà la mezzanotte, vai al posto dove hai visto cadere la gamba, con una candela accesa e un gatto soriano».
L’uomo così fece. A mezzanotte sentì un rumore. Erano gli spiriti: venivano a riprendere la loro gamba. Prima di andare via gli dissero: «Se non avessi avuto la candela accesa ed il gatto soriano questa notte saresti venuto con noi».
Detto questo, gli spiriti se ne andarono con la gamba e lui ringraziò il Signore perché l’aveva scampata bella.
§~ In dialetto bresciano, ma l’ipotesi è poco convincente, «Gambalù, accrescitivo di Gambàl = gambale».
In latino medievale, Gambaron = «era grosso di faccia, pingue di corpo e piccolo di statura: da ciò la gente lo chiamava Gambaron» = dal corpo tozzo [Du Cange].
Mi sembra, piuttosto, data l’orografia della zona, la degenerazione del latino medievale Campus-latus da Campus = Ager = terreno con confini e misure definite e Latus = largo, grande, vasto.
Gambalone, contrada di Pregasso detta, terreno
Terreni nell’omonima località e/o limitrofi.
Nel 1641, la Carità di Marone - ente assistenziale - possiede «Un’altra pezza di terra aradora, vidata in contrada sudetta [di Pregasso], chiamata Gambalone, […] di tavole cinque»; Antonio Franzini, nello stesso anno, è proprietario di «un’altra pezza di terra arradora, vidata, et parte lamitiva in detta contrada [di Ronco], chiamata Gambalone […].Nella detta pezza di terra vi è una staletta con feniletto sopra».
Gandane e Botto, contrada di Vesto detta, terreno
Il toponimo è solo nell’estimo del 1785 e denomina «una pezza di terra arradora, vidata, olivata, guastiva e murachiva» di ½ piò che confina a Est con il Valzello.
§~ Ganda (o gana), voce della zona alpina = ammasso di pietre, frana, crepaccio. In geografia fisica, sono chiamate così le incisioni, per lo più quasi parallele, determinate dall’azione dissolvente dell’acqua piovana sulle superfici pianeggianti delle rocce calcaree.
In latino medievale, Ganda = Acervus = mucchio [Du Cange].
Gandane, Cap de Gandàne, terreno
Terreno della cascina Carai.
È l’appezzamento di terreno pianeggiante più esteso del podere, a prato stabile, dove si produceva buon foraggio. Il toponimo è legato alla località confinante.
Gandane, contrada
Gandane è la zona a Sud di Vesto, tra Carai e Rodel. Anticamente a prati e uliveti, oggi è quasi completamente urbanizzata.
Gandane, via
Nella mappa del 1808 è detta Strada pubblica detta Carai. Nel 1842 è denominata Strada comunale detta dei Carrai. Nel Catasto unitario è detta Strada consorziale di Gandane.
Ancora, nel 1965, è chiamata via Ringhino e va dalla S.p. 501 a Vesto.
Gargiol, Gargiöl, cascina
Casa - mappale 1074 - a Nord-Est di Marone sul fianco sinistro della val Verlino.
Nel 1573 vi sono già fabbricati di proprietà Almici e Belussi/Gigola: «Una pezza di terra aradora vidata sita ut supra in contrada de Gariolo coh:ntia adiman et amezodi strada et con un pocho de staletta de nostro per uso di essa pezza di terra de pio uno tavoli settanta» e «Una pezza di terra arat:a, mont:a, guast:a, prativa, vit:a cont:a del Gariol con la quarta parte d’una staletta, à diman Jacc:o Beluzzo, à sera Felippo tavole cinquanta sei».
La descrizione della casa - proprietà di Giacomo Cristini fu Antonio - si ha nell’estimo del 1641: «Una pezza di terra aradora, vidata, et parte lamitiva in contrada di Gariolo, confina à mattina strada, à mezodi Martino Chrestino, à sera ingresso di tavole settanta. […] Una casa con corpi duoi terranei, et fenile sopra con un poco di corte, et nella detta pezza di terra».
§~ In latino medievale, Gariola = Ghiandaia, uccello, [Du Cange].
Gariolino, contrada di Gariolo detta, terreno
Nel 1785 è una campo arativo vitato e in parte improduttivo e pietroso in Gariolo.
Gariolo di sotto, cascina
Casa - mappale 210 - a Nord-Est di Marone sul fianco sinistro della val Verlino.
Nel 1641 è descritta - proprietà Gigola, forse la stessa del 1573 - come «Una pezza di terra aradora, vidata, montiva et parte lamitiva, et guastiva in contrada di Gariollo […] di tavole ottanta cinque. […] Una staletta con fenile sopra in detta pezza di terra».
Gargiol, Gargiöl, contrada
Località a Nord-Est di Marone, dopo Collepiano e Buciù, sul fianco sinistro della val Verlino.
Il toponimo compare fin dal 1573, in tutti gli estimi e denomina appezzamenti «di terra aradora, vidata, et parte lamitiva».
Garibaldi Giuseppe, via
La strada - acciottolata e a gradini, scalì - collega Ariolo con Pregasso.
Nella cartografia storica la via era detta Strada comunale detta Seredolo, Serédol (1808) e Strada comunale detta di Seredolo o dei Ronchi (1842) e Strada comunale detta di Bielonga (1898).
§~ Personaggio storico.
Giuseppe Garibaldi [Nizza, 4 luglio 1807 - Caprera, 2 giugno 1882] è stato un generale, patriota, condottiero e scrittore italiano.
Noto anche con l’appellativo di Eroe dei due mondi per le sue imprese militari compiute sia in Europa sia in America Meridionale, è la figura più rilevante del Risorgimento e uno dei personaggi storici italiani più celebri al mondo. Iniziò i suoi spostamenti per il mondo quale ufficiale di navi mercantili e poi quale capitano di lungo corso. La sua impresa militare più nota fu la spedizione dei Mille, che annetté il Regno delle Due Sicilie al nascente Regno d’Italia durante l’unificazione dell’Italia.
Garzalo, contrada di
Il toponimo compare solo nel 1573: «Un’altra [pezza di terra] arad:a, vidata, olivata, murachiva, guastiva, corniva cont:a de Garzalo, […] tavole quaranta».
§~ Probabile storpiatura di Gariolo; in dialetto suonerebbe Garzöl.
Garzania, abitazione
Nel 1573, nel capoluogo e nei pressi di contrada della Razzica, vi è «Una casa detta la Garzania nel cortivo delli hd: de Antonio de Firmi […]».
§~ In latino medievale, Garzaria = Locus, ubi panni poliuntur = luogo dove si puliscono o si rifiniscono i panni.
La garzatura è l’operazione di apparecchiatura dei tessuti di lana, consistente nel renderli pelosi, per aumentarne la coibenenza e migliorarne l’estetica; dal latino medievale Cardo = Carduus, sue cardui strobilus, quæ lanæ carminantur = frutto del cardo che si usa nella garzatura.
Gasso, Gas, cascina
È il mappale attuale 1635, cascina montana a Est di Marone sul confine con Zone, in località Forcella di Gasso.
È posta tra le cascine Vag e Dossel; nel 1898 è il mappale 1635, senza denominazione.
§~ In latino medievale, Gagium = silva [bosco] densissima [Du Cange] ma, più frequentemente, nel significato di “bosco bandito”, bosco comunale a proprietà collettiva (nell’Editto di Rotari del 643 vi è Gahagium).
Gasso, contrada
Località montana, a Est di Marone, sul confine con il comune di Zone.
Gatto, contrada del
Nel 1785 Martino Antonio Guerini e Mauro Guerini possiedono una casa ciascuno in contrada del Gatto. Nello stesso anno in contrada di Polmagno, di cui contrada del Gatto è variante, vi sono i mulini del Gatto.
§~ Variante di Polmagno.
Gatto, mulini del, contrada di Polmagno
Nel 1785, Giovanni Battista Serioli di Sale Marasino possiede «un edificio di ruote due di molino con sue stanze terranee, con corte […] in contrada di Polmagno, chiamati li Molini del Gatto […]».
Gavi, contrada del
Il toponimo è citato solo nel 1573: «Un’altra arad:a, vidata, olivata cont:a del Gavi […] tavole sedese»
§~ In dialetto bresciano, Gainèl = Gheppio, piccolo uccello rapace, Falco Tintinnacolus.
In latino medievale, Gaviare = Pignori dare = espropriare, pignorare per debiti non pagare. Il dialettale Scomio (da Escomiare = disdetta di locazione, ma in dialetto = pignorare) era l’incubo dei contadini che erano oberati dai debiti, per pagare i quali erano costretti a ipotecare i terreni.
Gelone, Gelù, cascata del
Suggestiva cascata del Bagnadore, poco a Est di Marone, confinante con la cava di Ponzano dismessa della Dolomite.
Nel Libro per le Famiglie del parroco Buscio si legge che, il 27 dicembre 1834, Bartolomeo Ghitti di Lorenzo e Francesca Cotti Cometti, di 10 anni, «è morto per causa di caduta nel Gelone superiore in Zone». Si può ipotizzare, quindi, che fosse variante - poco usata - di Bagnadore e che il toponimo, col passare del tempo, sia stato usato solo per la cascata.
«Correva l’anno 1925 quando la Società Dolomite chiedeva alla Direzione Generale delle acque e degli impianti elettrici di poter arretrare di 50 metri la cascata naturale del torrente Bagnadore, mediante scavo di una galleria per poter meglio sfruttare la cava di dolomite, di cui deteneva già allora il possesso. Il permesso fu accordato, ma la Dolomite dovette impegnarsi a fare in modo che nessun danno fosse recato alla derivazione del torrente a valle, infatti le ditte che dalla parte bassa del Bagnadore utilizzavano l’acqua, cioè la ditta Fratelli Cristini (fu Rocco) e Fratelli Cristini (fu Andrea), insieme a Zanotti Angela avevano presentato opposizione al progetto.
In località Gelù, infatti, si trovava la presa di acqua del canale Bagnadore Basso, il cui compito era quello di arricchire l’acqua dei due canali Sèstola e Ariolo. A Piazze le acque dei canali si riunivano nei lavatoi pubblici e poi proseguivano insieme fino al lago. L’acqua del Bagnadore basso veniva, quindi, per la maggior parte utilizzata dai lanifici Cristini e dalla macina per le olive, posta poco distante dagli stabilimenti e sicuramente dalla conceria» [Felappi].
§~ In dialetto bresciano, Zél = gelo, freddo intenso; Zelù è accrescitivo.
Gelone, strada consorziale detta del
Nel 1808 la via è denominata, genericamente strada consorziale; nel 1842 è detta strada consorziale del Gelone; nel 1898 è denominata - nel primo tratto - via della Fucina e - fuori dall’abitato di Ponzano - Strada consorziale dei Bo.
Gelù, Gelone, bosco
Bosco, mappali 296 e 1616, posto tra il Bagnadore a Ovest, la Sèstola a Est e a Sud di Gariolo.
Ghis, Contrada della Breda ossia della Croce detta, terreno
Terreno su cui sorge il cimitero e i campi, a prato e olivi, limitrofi: oggi sono i mappali 4694, 2920 e 546.
§~ Etimo ignoto.
Giàna, osteria la
Casa cantoniera
A Lago, ristorante
È il mappale 5447. Fino agli anni ’70 del Novecento fu osteria che prendeva il nome dalla proprietaria, Giovanna; divenne, poi, casa cantoniera dell’ANAS; oggi è il ristorante A Lago.
§~ Dal dialetto Giàna = Giovanna.
Vedi anche Casa cantoniera.
Giardino di sopra, cascina
Nel 1808 la cascina è denominata Giardino; il nome Giardino di sopra è nella mappa del 1842.
Oggi è il mappale 1388 (mappale 401 nel 1842), posto poco a Nord-Est dell’omonimo agriturismo.
Giardino di sotto, cascina
Giardino, Giardì, cascina
Oggi è sede dell’omonimo agriturismo con il mappale 4811.
Il toponimo non compare negli estimi dal 1573 al 1641.
Nel 1785, Cassandro Signoroni fu Francesco possiede «una pezza di terra aradora, vidata, olivata, lumettiva, con stalla, fenile e cosina e camera sopra […] in contrada di Monte di Marone chiamata Il Giardino […] di piò uno tavole trentadue». I Signoroni sono imprenditori tessili di Sale Marasino. Nella seconda metà dell’Ottocento la proprietà passa alla famiglia di industriali serici dei Vismara.
Il toponimo è nella mappa del 1842 (la cascina, nel 1808, è senza nome).
Giesia, contrada della
Nel 1573 è, genericamente, la località in prossimità della chiesa parrocchiale.
Girelli, le Girèle, fabbricato
Già sede di una casa-ricovero per ragazze, poi orfanatrofio, ora è sede di una casa di riposo per anziani.
Il fabbricato - che sorge sulla sponda destra del Bagnadore e confina con il lago - fu edificato su un terreno acquistato dai Ghitti di Bagnadore.
Storia
Le sorelle Maddalena ed Elisabetta Girelli sono nate a Brescia rispettivamente il 3 Ottobre 1838 e il 26 Settembre. Indirizzate dal vescovo Girolamo Verzieri decisero di ridar vita alla Compagnia secondo la Regola di sant’Angela Merici, con alcuni adattamenti del tempo. Nel 1867 la Compagnia pose la sua sede in S. Afra. Ristrutturato un fabbricato, ricevuto in eredità, a Brescia, le Girelli lo resero centro spirituale della Compagnia, dandogli il nome di Casa S. Angela (1899).
L’azione delle Girelli fu intensa e qualificata per la formazione e promozione della Compagnia. Questa si diffuse in tutta la diocesi, offrendo un prezioso aiuto all’apostolato parrocchiale, accattivandosi la stima del clero e della popolazione.
Alla loro morte le sorelle (Bettina muore nel 1919 e Maddalena nel 1923) lasciarono la Compagnia solida nella formazione spirituale e nell’organizzazione centrale e periferica, così che essa potè affrontare le situazioni complesse dei decenni successivi.
A Marone le sorelle Girelli comprarono nel 1877 un edificio per ospitare le giovani lavoratrici occupate presso il setificio Vismara; nel 1902 il collegio ospitava 120 fanciulle. Le sorelle Girelli visitarono spesso questa casa e la sostennero finanziariamente.
Dopo la prima guerra mondiale, il filatoio Vismara chiuse i battenti, perciò le ospiti dovettero essere rimandate ai loro parenti, per mancanza di lavoro. Allora l’istituto fu trasformato in orfanotrofio con il nome Istituto orfanotrofio sorelle Maddalena ed Elisabetta Girelli. Si accettavano ragazze dai 6 ai 12 anni (dimesse ai 18), che venivano addestrate in lavori prevalentemente tessili; le ospiti ne ricavavano anche un guadagno con la vendita del prodotto di tela e maglieria.
Nel 1924 divenne direttrice dell’Istituto la maestra Margherita Guerrini sino alla sua morte il 29 maggio del 1929.
La ragione della costruzione dell’istituto è così raccontata da Elisabetta Girelli.
«Frequenti si presentavano i casi pietosi di povere fanciulle orfane e peggio che orfane, abbandonate, trascurate, pericolanti. Sulle prime si procurava di raccoglierle ed alloggiarle in qualche Istituto, ma quante difficolta. E quanto tempo e quanti passi prima di ottenere l’accettazione.
Anche raccogliendo insieme tutte le nostre forze, tante volte non ci si poteva arrivare. Restavano escluse le più bisognose, poveri esseri, rifiuti delle pecche, miseri avanzi del vizio e degli stenti, che non potevano essere regolarmente accettati in nessun Istituto; e tante volte venivano rimandate per ragioni di salute, d’incapacità, ecc. Al termine d’ogni mese c’erano tante piccole pensioni da pagare alle fanciulle poste qua e la, ma era sempre una cosa provvisoria; e nell’età più pericolosa s’era di nuovo nella dura necessita di abbandonarle a se stesse perché imparassero un mestiere.
Frattanto a questo bisogno di raccogliere le povere fanciulle trascurate e pericolanti, aveva pensato prima di noi quell’anima buona e caritatevole che fu la Contessa Teresina Fe; ed avendo saputo che nel piccolo paese di Marone fioriva l’industria e si cercavano fanciulle per occuparle nel setificio Vismara, ne raccolse una ventina delle più bisognose, prese a pigione una casa, e con mirabile spirito di sacrificio andò ella stessa sul luogo a fare da madre a quelle poverine, che mandava al lavoro, e col loro guadagno e con l’aiuto di qualche persona caritatevole, le manteneva alla meglio.
Per qualche tempo le cose andarono regolarmente, ma sopraggiunta una annata di grande penuria, il lavoro delle fanciulle e il provento di private beneficienze non bastarono al bisogno, varie fanciulle caddero ammalate, e la buona signora Teresa fu costretta a riconsegnarle ai parenti e smettere la sua caritatevole impresa. Allora il Sig. Vismara vedendosi mancare le operaie, ed avendo saputo, non so come, che noi ci occupavamo di povere fanciulle, venne a chiederne un certo numero, proponendo di tenerle a vitto e alloggio in un suo locale addetto al setificio stesso, e d’affittarne la custodia ad una buona figlia di S. Angela, che era già operaia nel setificio.
Si combino di fare la prova con poche e chiamata a Brescia la consorella Ballardini Emilia, le vennero affidate alcune ragazze con promessa che ne avrebbe ogni cura possibile per l’anima e per il corpo, e in capo ad ogni mese le verrebbe pagato quanto fosse necessario per vitto, vestito, ecc.
Noi non potevamo recarci sul luogo, avendo in quell’epoca il papà infermo e ci contentavamo di fare da lungi quel poco che si poteva per coadiuvare la buona volontà di quella povera consorella, che sebbene rozza aveva cuore di madre per le sue poverine, e non risparmiava fatiche e sacrifici per custodirle giorno e notte e far loro tutto il bene possibile. Infatti la prova diede dei buoni risultati e ci incoraggio a mandarne delle altre.
Persuase anche il Sig. Vismara a migliorare quant’era possibile la condizione di quelle piccole operaie. Accordò a sue spese una Maestra, poi una Direttrice, poi ad una ad una altre giovani a cui dava il nome di governanti, ed erano tutte figlie di S. Angela, che si scompartivano gli uffici di infermeria, di guardaroba, di cucineria, ecc. In complesso non si camminava male; ma restavano ancora da sciogliere due gravi problemi; il primo che il guadagno delle povere fanciulle dai dodici ai diciassette anni non bastava assolutamente per coprire all’intero loro mantenimento; il secondo che la vita che esse dovevano fare negli stabilimenti industriali anche meglio governati, come ad amor del vero era quello del Sig. Vismara, non provvedeva sufficientemente all’avvenire delle figliole per difetto di istruzione indispensabile, onde prepararle alla vita di famiglia, pel giorno in cui avrebbero dovuto lasciare lo stabilimento.
Come per noi la Provvidenza abbia sciolto questi problemi lo dirò più innanzi, ora ne ho fatto cenno come semplice storia degli umili principi della casa di lavoro di Marone, e per dare a chi e dovuto il merito dei primi sforzi nell’opera tanto importante in questi miseri tempi, cioè di moralizzare le inferme classi del popolo e migliorare le condizioni delle povere fanciulle operaie.
Per la fondazione dell’Istituto Operaio di Marone le due sorelle Girelli furono proposte all’Ateneo di Brescia per uno dei premi di fondazione Carini, che vengono assegnati ogni anno dall’Accademia a persone altamente benemerite.
L’Istituto accoglieva nel 1878 centoventi fanciulle, sottratte alla miseria, educate all’onesto lavoro e il Cav. Gabriele Rosa, Presidente dell’Ateneo, poté constatare in una sua visita che nulla mancava di quanto potevasi desiderare all’igiene, all’istruzione e alla educazione delle povere ospiti.
La proposta al premio Carini trovo le opposizioni più vivaci di alcuni settori, che vedevano nella pia opera solo intento di oscurantismo e di clericalismo. Fu rimandata quindi di un anno, ma alla fine del 1878, fu, alla unanimità, meno uno, approvata la concessione della medaglia d’argento al premio Carini alle due nobili sorelle Girelli, solennemente conferita nella adunanza del 5-1-1879, con la motivazione «per l’istituto da esse fondato in Marone con generosissimo dispendio a scopo di carità e beneficio grandissimo».
Le due sorelle, ringraziando l’Ateneo pregarono che il prezzo della medaglia fosse dato agli Asili di carità per l’infanzia, ciò che fu fatto in loro nome aggiungendo carità e modestia. […]
Al termine di quell’estate tornammo una seconda volta a Marone, e fummo gentilmente ospitate in casa del Sig. Vismara. Ci fermammo anche la notte per poter meglio osservare le cose: ma in quella volta ne io, ne mia sorella potemmo mai dormire. Era una notte assai calda e serena; e quasi istintivamente ci trovammo tutte e due alla finestra delle nostre due camerette che erano vicine per respirare un po’ d’aria.
Oh! sei qui anche tu - disse mia sorella - io non posso dormire. Fa un gran caldo e poi mi ha fatto una certa impressione quel camerone dove dormono le ragazze. La stessa impressione fu fatta anche a me; ma quasi non osavamo comunicarci l’una l’altra il rimedio che naturalmente si presentava necessario e mi limitai a rispondere: «Mi ha fatto l’effetto di un quartiere; e tu che ne dici?». «Io dico che per avere ragazze pulite, ben custodite e ben allevate bisogna che sia distinto il locale di abitazione dal lavoriero e per fare tutto quello che e necessario per il loro bene bisognerebbe averle in casa nostra».
Queste parole mi parvero una buona ispirazione, ma per attuarla presentava certo difficolta, che per il momento si concluse che bisognava riflettere e pregare.
Frattanto il reverendo padre Marino Rodolfi andò a Marone per qualche predicazione, si interessò delle ragazze che lavoravano nel setificio e delle consorelle che ne avevano cura. Comprese che la località, l’industria e altre favorevoli circostanze offrivano un campo di belle speranze a salvezza di povere fanciulle abbandonate e pericolanti, e tornato a Brescia ci raccomando vivamente di prestarci per il buon andamento di quella casa di lavoro. Mia sorella gli espose il pensiero riguardo alla casa ed egli approvo ed incoraggio all’acquisto. Ma appena si seppe che volevamo comperare quella casa stessa che da prima era stata affittata alla Contessa Fe per alloggiarvi le ragazze, il prezzo che era stato proposto di tredicimila lire fu elevato a venticinquemila. Poi bisognava calcolare la grave opera di riduzione e restauri ed alla fine la casa non era adatta per la località troppo centrica pel paese e per l’umidita prodotta da un canale vicino.
Quindi si abbandono il pensiero. Dopo qualche tempo il reverendo padre Marino torno a Marone, ed avendo saputo essere in vendita un piccolo fondo in località opportuna, ci scrisse esortandoci a comperarlo e a fabbricare di pianta la casa di lavoro. Si fece l’affare e subito si pose mano alla fabbrica».
§~ Dal cognome delle fondatrici.
Giügal de Piase
Il punto A, come è denominato nel progetto di ristrutturazione del 1936, - el Giügal - è il raccordo tra i vasi Sèstola, Bagnadore basso e Ariolo. È parte del sifone con cui le acque dei tre vasi artificiali attraversavano sotterraneamente la ferrovia. Vi era una saracinesca, per lo scarico dell’acqua nel Bagnadore, che era aperta per eseguire la pulizia del bacino di raccolta.
§~ Vedi Dugale = Giügal, variante locale di Dügal.
Grapéra, la, bosco
Parte del bosco Orto, nel mappale 1555.
§~ In latino medievale, Graperium = quod remanent in area, feumento ventilato ac purgato = ciò che rimane dopo la trebbiatura, paglia e pula (Grapa = paglia e pula): la paglia e la pula (patös = «quel mescuglio di cose infracidate che serve per concio e ingrasso della terra», [Melchiori]) servivano come strame per gli animali o per fare il letame (gràsa).
Grattacielo, cascina
Cascina novecentesca, mappale 5456, a Ovest di Sèsser e della Strada comunale di Sèsser che porta in Fontanàs.
Gremo, Gremone, contrada del
Nel 1500 e 1600 il toponimo indica, anche, una località tra Ariolo e Collepiano.
Nel 1573, in contrada del Gremo, nei pressi vi è una pezza di terra «arad:a, vid:a, olivata cont:a del Gremo, à diman la fornas tavole vinti sette».
Nel 1641 vi sono località dette Gremone anche a Ponzano e tra Vesto e Pregasso.
Nel 1785 è anche il nome di alcuni terreni tra Collepiano e Ariolo e di un campo di Pregasso a ciglioni arativo e vitato con stalla e fienile che è detto il Ronco di Gremone.
§~ In dialetto bresciano Grèm = gramigna, Gremù suona come accrescitivo [Gnaga]. Lo stesso Gnaga ha dei dubbi su questa etimologia.
Più probabile dal latino medievale Gremium = Gremia, siccamina lignorum, luogo in cui si fa seccare la legna [Du Cange].
Gremone, contrada di Pregasso, detta, terreno
Nel 1785 vi è un campo arativo e vitato di poco più di ½ piò, con stalla e fienile, denominato Gremone e Ronco di Gremone.
Nel 1898, il terreno è il mappale 1443; oggi è il mappale 2425 (prevalentemente bosco).
Gremone, Gremù, cascina
«Cascina a Sud-Est di Marone e a Est della frazione Vesto. La località è al piede di rocce» [Gnaga].
Nella mappa del 1842 la cascina è detta Gremoli, e, nel 1898, Gremone.
Oggi è il mappale 5441.
Grevol, contrada di
Il toponimo si trova solo nel 1573: «Un’altra [pezza di terra] arad:a, vid:a, guastiva cont:a de Grevol, […] tavole quaranta nove».
§~ Probabile variante di Gremone.
Grumello 1, Grömèl, Gremèl, cascina
Cascina nell’omonima località. È detta oggi Ca dei Salvi; è il mappale 1512.
Nelle mappe del 1808 e del 1842 sono tre le cascine con questo nome: la numerazione è mia e parte da quella più a valle.
§~ 1. Grumus = mucchio di terra e Gróm, voce bergamasca, per mucchio [Gnaga].
2. Diminutivo della voce Grumo = dosso [Gnaga].
3. Grumam seu silvam = selva, bosco fitto [Du Cange].
Grumello 2, Grömèl, Gremèl, cascina
Cascina nell’omonima località. È detta oggi Stala de Gremèl; è il mappale 694.
Grumello 3, Grömèl, Gremèl, cascina
Cascina nell’omonima località. È detta oggi Ca de Piera de Gremèl; è il mappale 959.
Grumello, Grömèl, Gremèl, contrada
La località è a Est di Collepiano sul fianco destro della valle dell’Òpol, lungo via Grumello, antica strada che portava in Croce di Marone.
Salendo da Collepiano si incontrano le cascine Loreno, oggi abitazione e stalla dei Cristini detti Crocole, mappale 5235; Cavallo oggi Stala dei Salvi, mappale 688; Grumello 1, Ca dei Salvi, mappale 1512; Grumello 2, Stala de Gremèl, mappale 694; Cavallo di sopra, oggi denominata Ca de Tano dei Botasì, mappale 1646; Grumello 3, Ca de Piera de Gremèl, mappale 959; e Dossi, mappale 968.
Nei documenti storici il toponimo si trova nelle varianti Gimello, Gremello, Grimel, Grimello, Grimet e Grumello.
La storia dell’uomo di Grumello
Verso sera un uomo stava ritornando dal pascolo con i suoi capretti.
Arrivato all’ovile vi rinchiuse i capretti col catenaccio.
Poi entrò in casa. Dopo poco tempo sentì degli ululati fuori dalla porta.
Non avendo arnesi per difendersi, prese la scure. A un tratto un lupo si mise a graffiare la porta e in pochi minuti riuscì a fare un buco e v’infilò la zampa; l’uomo, pronto, tagliò la zampa al lupo.
Allora la bestia si mise a ululare e se ne andò via.
Grumello, via
Nome attuale della via che attraversa l’omonima località, da Collepiano alla cascina Dossi e traverse fino a Lèrt.
Nel 1808 era detta Strada pubblica detta della Madonna; nel 1842 e nel 1898 era Strada pubblica detta del Monte e il tratto da Dossi a Lèrt, nel 1898, Strada comunale di Lert (il tratto da Dossi a Lèrt, nel 1842, era denominato Strada consorziale detta della Malegata).
Guadai, contrada e terreno
Nel 1573: «Un’altra arad:a, vidata, olivata, guastiva, prativa, montiva, cont:a de Guadai […] pio uno».
Nel 1641: «Un’altre pezza di terra aradora, vidata in contrada di Guadai […] di tavole dieci».
Nel 1785 sono tre campi arativi, olivati, vitati e a ciglioni.
Oggi sono i mappali 5226 (con l’abitazione, 2217) e 5227, posti poco a Est di Ponzano e a monte della chiesa di Santa Teresa di Lisieux.
§~ In latino medievale, Guadia = pegno, fidejussione [Du Cange]. La parola rimanda all’abitudine dei contadini (regolamentata nel XVI secolo) di dare, in garanzia dei prestiti, i terreni di proprietà.
Guerini, contrada dei
Il toponimo, collocabile nei pressi di Vesto, compare solo nel 1573, anche nella variante contrada delle Gueri: «Una pezza di terra arad:a, vid:a cont:a delli Guerini […] tavole cinquanta cinque».
§~ Dal cognome Guerini.
Guerì, area industriale
Anticamente località detta il Follo, nei pressi della Cavana, in cui sorgeva la fabbrica tessile dei Guerini. Oggi è il mappale 1920 e fa parte della Dolomite Franchi (impianto di produzione dei mattoni refrattari).
Etimologia:
Dal cognome Guerrini, antica grafia di Guerini, di cui i proprietari dell’industria si fregiavano per distinguersi dai Guerini loro dipendenti.
Guerini Giulio, via
La via parte dall’incrocio di via Zanardelli con via Europa, attraversa Ariolo e giunge alle porte di Ponzano, dove diventa via Ponzano.
§~ Soldato maronese [1913-1936], caduto in Africa orientale.
Giulio Guerini nasce a Marone il 7 febbraio 1913 da Luigi e Giulia Bontempi. Celibe, come molti giovani maronesi, parte “volontario” per l’Africa orientale, dove muore il 27 febbraio 1936 per le ferite riportate in combattimento. La via gli è stata intitolata con delibera consigliare n° 16 del CLN del 5 giugno 1945.
Guerini Margherita, scuola primaria
L’edificio è in via Giulio Guerini: edificato nei primi anni ’60 dove vi era il campo sportivo comunale a 9 giocatori.
§~ La scuola fu dedicata a Margherita Guerini con delibera del Consiglio Comunale del 4 giugno 1966.
Margherita Guerini nacque a Marone il 20 gennaio 1853 e morì a Marone il 19 maggio 1929.
Era figlia di Guerini Santo [1811] e Cristini Vincenza [1819].
La famiglia Guerini portava l’appellativo, scotöm, di Fontane, perché abitava vicino alle fontane della frazione Vesto. In seguito, furono anche detti Guerini delle Maestre per la presenza in famiglia di numerose insegnanti.
Guessi, contrade delle
Il toponimo è citato solo nel 1573: «Una pezza di terra arativa, vid:a, guastiva, murachiva cont:a delle Guessi […] tavole sessanta cinque».
§~ In latino medievale, Gaisdium, Guesdium = Herba fullonum, vel saponaria = Genziana crociata detta anche Erba dei lanaioli. In altre fonti, Erba saponaria = Saponaria officinalis.
Guì, cascina
Guì, contrada
La cascina è posta nella zona montana a monte della Madonna della Rota e a valle della località Piane.
Nel 1641 - il toponimo non compare in documenti precedenti - Battista Ghitti possiede «Un’altra [pezza di terra] arradora, et parte lamitiva in contrada di Guij […] di tavole vinti cinque. […] Un fenile sopra la stalla di Battista Gitti nella detta contrada».
Nel 1785 la proprietà della casa e dei terreni (circa 2 piò) è passata ai fratelli Guerini fu Giulio, gli stessi che sono proprietari del grande mulino in via Razzica, in riva al lago. Nelle mappe storiche è chiamata Quini.
La cascina, oggi, è costituita dai mappali 5254 e 5324
§~ Vedi Guine e Quini.
Guine, cascina
Guine, contrada
Cascina e località a Est di Vesto.
Nel 1641 - il toponimo non compare in documenti precedenti - Giacomo Cristini fu Battista possiede «una pezza di terra aradora, et vidata in contrada delle Aiguine […] di tavole cinquanta. In detta pezza di terra vi è la mittà di una staletta estimata lire cinque»; l’altra metà della cascina è dei suoi cugini, i fratelli Cristini fu Domenico; anche la famiglia del fu Domenico Cristini possiede «Un’altra pezza di terra aradora, vidata in contrada delle Aiguine […] di tavole cinquanta. Nella detta pezza di terra vi è la mittà di una staletta sopra cuppata». La prima è la cascina Guine, la seconda è la cascina Siaroli (vedi).
Nel 1785 i fratelli Cristini del Tedèsch possiedono «una pezza di terra arradora, vidata, e lumettiva con stalla, e fenile […] in contrada delle Guine».
Oggi la cascina è il mappale 94.
§~ Guina = Turdìna = Aivina = pispolone, uccello notissimo [Gnaga].
Vedi Guì e Quini.